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Il punto

Usa: l’incognita Obama Francia: gli “oriundi” italiani

A tirare anzitempo le somme a volte si sbaglia. Gli equilibri nell’Unione europea saranno chiari dopo le elezioni in Francia, già dietro l’uscio, e negli Stati Uniti a novembre. Sapremo dalle

indagini demoscopiche se il dibattito tra Joe Biden e Donald Trump abbia schiuso o meno il sipario

all’entrata in scena di Michelle Obama L’Unione europea è l’elefantiaco e costosissimo apparato di poteri sovranazionali ma iperbilanciati, apparentemente paradossali quanto al momento ineludibili. Migliorarli è necessario quanto la prudenza nel farlo. Il processo di riforme ch’è di fronte all’Ue è appena all’inizio. Assicurare la stabilità ne costituisce la premessa. Tutti i grandi progetti crollati sul nascereavevano i piedi d’argilla. Non si realizza un disegnostraordinario se non poggia su una normale amministrazione corretta ed efficiente. Il processo di riforme nell’Ue è appena all’inizio. Henry Kissinger spiegò la difficoltà dell’Europa di sedere al tavolo dei Grandi della Terra per discutere dei problemi internazionali, con la sua difficoltà di interloquire con gli alleati europei. Lo fece semplicemente, con una domanda: “Con chi devo parlare?”. L’Unione europea ha un suo ministro degli Esteri, ma quando conta e quanto? Conta quando a parlare non è la presidente della Commissione e ciò che dice riflette il compromesso raggiunto dai rappresentanti di tutti i Paesi nel Consiglio europeo sui temi di politica estera, difesa e sicurezza nei quali l’unanimità necessaria sia stata raggiunta, superando il diritto di veto. Le urne hanno evidenziato come i Verdi - punta di diamante della transizione a un futuro non più devastante dell’ambiente – siano stati puniti: hanno pagato nelle urne lo scotto dello schieramento ideologico, come avviene in Italia e in Francia e altrove. Torneranno in auge quando si riapproprieranno di una identità basata sull’indipendenza. La destra non perderà i consensi conquistati se soddisfarrà le richieste dei suoi votanti sull’invasione migratoria semiclandestina; sull’ordine pubblico in malora; sulla supremazia dello Stato sul regionalismo e sul campanilismo che troppo spesso si rivelano volàno di mero clientelismo e di gravissimo sciupìo di risorse; sulla giustizia che dev’essere severa, celere e politicamente impermeabile; su un atlantismo che deve conservare una dignitosa porzione di autonomia... E se la partecipazione della destra ai centri decisionali di Bruxelles non solleverà dubbi sulle suecapacità amministrative e di mediazione. In Francia il 30 giugno e il 7 luglio si rinnoverà l’Assemblea nazionale. La Camera bassa conta 557 deputati (tempi diversi per il Senato e voto indiretto, dai ‘grandi elettori’). Due “oriundi” italiani potrebbero contribuire a cambiare i destini del Paese e influire quindi sugli equilibri in Europa. Le elezioni parlamentari, un azzardo averle anticipate, una sorpresa l’esito per tutte e tre le coalizioni che si confrontano. Potremmo dire tre italiani, ma due al centro del palcoscenico, Eric Ciotti e Jordan Bardella, nascosto dal sipario Vincenzo Sofo marito di Marion Maréchal-Le Pen. Il primo è il leader dei gollisti, o meglio dei- Republicains che accettano la svolta storica del ricongiungimento tra le due principali anime della destra francese: quella antinazista erede di Charles De Gaulle, la loro, con l’altra discendente della repubblica di Vichy, di Philippe Pétain, collaborazionista per fede o per necessità. Eredità reclamata l’una, rinnegata l’altra. Elettoralmente i rapporti di forza si sono negli ultimi anni capovolti. I gollisti al lumicino, il Rassemblementdi Marine Le Pen primo partito in Francia. Chi ha vissuto, come chi scrive, la Francia d’allora può stupirsene ma comprende benissimo il cambiamento. Chi gioca con l’archivio della storia, lo fa strumentalmente, non è al passo coi tempi ma prigioniero di un passato prossimo ch’è ormai remoto ai più. Le forze di sinistra in Francia sono orfane di Mitterrand; quelle dei gollisti inseguono i fantasmi della grandeur. Al primo posto degli “oriundi” italiani abbiamo messoCiotti (origini trevigiane) e non Bardella (genitori piemontesi). Si condivida o meno la sua scelta, gli va riconosciuto il coraggio per compierla. Dovesse la coalizione prevalere nelle urne, verrà ricordato per aver ancorato alla destra moderata il Rassemblement nationale offerto agli elettori liberal-conservatori un buon motivo per saltare il solco scavato dalla storia e un’ottantina d’anni fa da un guerra che fu pure civile. Una sconfitta, invece, ne relegherà il nome a una citazione futura, neppure certa. Dagli ultimi sondaggi - da prendere con le pinze perché non riflettono compiutamente l’astensionismo - l’apporto sarebbe del 2-3%. Il partito di Marine Le Pen supererebbe il 35%, per i più ottimisti sfiorerebbe addirittura il 40%. Ma è difficile a credere. Resta un cambiamento epocale nella destra francese. Trent’anni fa intervistai nella sua casa parigina il padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, fondatore del Frontnational. Origini umilissime, tenacia taurina, laurea in legge e Legione straniera, divorziato e con l’ex moglie tette al vento dispettosamente sulla copertina di ‘Playboy’, beffardo e incurante delle reazioni a dichiarazioni esplosive (“forni crematori un dettaglio della storia”, “la nazionale di calcio francese come di un Paese africano per i troppi neri”). Sicuro d’essere dalla parte giusta della storia, superò poi il socialista Lionel Jospin e giunse al ballottaggio presidenziale con Jacques Chirac, leader della destra gollista allora maggioritaria. Poi… poi tant’altro ancora. E infine a succedergli la figlia Marine. La ‘normalizzatrice’: via il papà, via il vecchio nome del partito, via la nipote Marion…fino alle distanze con l’AfD nonostante la prevista affermazione elettorale in Germania. Rassicura la Francia moderata, ricuce con Marion e il marito italiano Vincenzo Sofo, fa del ventottenne Jordan Bardella l’idolo dei giovani, che non ha perso il confronto, nel dibattito l’altra sera, con gli altri due candidati premier: l’uscente, Gabriel Attal, che rappresenta il partito Renaissance di Emmanel- Macron, e Manuel Bompard coordinatore della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e rappresentante del Nouveau Front populaire (socialisti vari, comunisti e i Verdi). Ma il voto è a doppio turno e i ballottaggi una incognita.

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