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L'opinione
02 Luglio 2024 - 09:46
Sapremo con certezza stamane quanti dei 257 triangolari – un record! - si terranno in Francia al ballottaggio tra meno di una settimana. Più saranno i ritiri, meno le possibilità di raggiungere all’Assemblea nazionale la maggioranza assoluta per il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella: 289 seggi su 557. La scommessa di Emmanuel Macron è che Rn non la raggiunga e, alle prossime presidenziali, la sinistra non radicale sorregga la sua rielezione all’Eliseo. Il primo turno elettorale vanta parecchi record: dall’affluenza, che s’è avvicinata al ‘67%, al numero dei candidati – ben 76 - che non affronteranno il ballottaggio, avendo conquistato la maggioranza assoluta dei suffragi in collegi nei quali ha votato almeno il 25% degli elettori. Alla destra di Rn una quarantina, col contorno di alcuni eletti dei Repubblicains (gollisti); alla sinistra del Nouveau front populaire una trentina. Dati che non tengono forse conto degli ultimissimi, e poco significativi, aggiustamenti. Significativa, invece, l’apertura in rialzo delle Borse europee, la francese in testa, a smentire presunte Cassandre e menagramo vari. Nell’attesa dell’esito del ballottaggio francese, gli occhi si rivolgono alla Gran Bretagna che non è più nell’Ue ma che ne influenza la vita. Tra il primo e il secondo turno delle elezioni parlamentari anticipate in Francia, ecco i britannici andare anch’essi alle urne per una simile consultazione anzitempo. Ma qui l’unica curiosità non è sul vincitore, perché i conservatori hanno sprecato ogni possibilità di sopravvivenza al 10 di Downing Street faranno spazio ai laburisti di Keir Starmer. Il dubbio è se si ‘ripeterà’ Nigel (Neil) Farage, l’artefice della Brexit. Una Brexit che si è rivelata un mezzo disastro, sotto il profilo economico e non solo. Infatti, la gran maggioranza dei britannici ora la giudica molto negativamente. Non fa autocritica e punta il dito contro i governi conservatori: di David Cameron che andò con superficialità al referendum, e dei successori, uno peggio dell’altro. L’uscita dall’Europa unita ha portato più tasse, più inflazione, più disoccupazione e paradossalmente più immigrazione extra-europea con annesso incremento della criminalità. A tutto questo, si aggiunga la guerra in Ucraina dove i governi Tory hanno soffiato sul fuoco facendo a gara con la Casa Bianca nel sostenere il conflitto invece del negoziato. Vecchia abitudine dei conservatori. Neil Farage è stato abbastanza abile da farsi da parte negli ultimi anni. Un restar nell’ombra ma non del tutto. E siccome un 35% dei suoi connazionali giudica, tutto sommato, la Brexit meno peggio che restare nell’Ue, eccolo tornare sul palcoscenico politico con l’obiettivo addirittura di strappare ai Tory seggi e ruolo. Come aveva fatto alle elezioni europee del 2014,risultando l’Ukip il primo partito con poco meno del 28% di consensi. Il 23 giugno del 2016 il Regno Unito, da sempre con un piede dentro e l’altro fuori, fece armi e bagagli e lasciò l’Unione europea. Dove, peraltro, era entrato in ritardo e dove Charles de Gaulle non lo voleva. Pur di accoglierla, a Londra furono offerti forti sconti e promozioni. Un vero e proprio affare. Il legame col continente fu poi il tunnel sotto la Manica, grazie alla Bei. Ma la Gran Bretagna è un’isola lungi dal divenire una penisola del Vecchio Continente. Strategicamente - e ormai storicamente - è a metà strada tra l’Europa, dove cura con diffidenza estrema il proprio ruolo, e il nord America, dove il blasone sopravvive all’ombra dell’impero che fu, il massimo a memoria d’uomo. Insomma, dovesse rinnovarsi il richiamo che portò all’exploit del 2016, Farage potrebbe addirittura prendere il posto dei Tory, aspirandone i voti a dispetto del fatto che la Brexit non abbia premiato l’UK. È l’immigrazione, ormai in Inghilterra mal sopportata persino dagli oriundi, a offrirgli ancora una volta l’opportunità di raggiungere il suo obiettivo. Rishi Sunak, di origine indiana e premier dall’autunno del 2022, ha prima stretto le maglie dell’immigrazione clandestina con una maggiore sorveglianza nel canale della Manica, ma con scarsi risultati. Infine, s’è inventato il dirottamento degli ‘invasori’ verso… il Ghana. L’ex colonia africana, non troppo estesa (tre quarti dell’Italia e meno di 30 milioni d’abitanti), fornì purtroppo schiavi per le colonie in America ma fece pure tesoro di alcune qualità dei colonizzatori: fu la prima nel continente nero ad ottenere l’indipendenza da Londra ed è tra le poche che non è passata dallo sfruttamento esterno a quello interno, di dittatori sanguinari e con i conti bancari in Svizzera. Neppure è stata tentata, finora, di aprire le porte a cinesi e russi come han fatto alcuni vicini. Una delle vieppiù rare democrazie africane. Poche critiche, quindi, alla scelta di Sunak. Ma pure pochi consensi guadagnati, almeno nelle indagini demoscopiche. Il fatto è che l’economia britannica dal quinto posto è retrocessa al sesto. Il Pil è cresciuto appena del 2% a fronte del circa 25% nell’Ue. Sfumata una parentela commerciale ‘speciale’ con gli Usa e meno male che l’Irlanda del Nord resta il portone d’entrata e d’uscita con il condominio Ue. Come accennavamo sopra: più tasse, più importazioni, più cara la vita e più disoccupati (e la previsione di un altro milione e mezzo nei prossimi dieci anni). Ma Farage si rivolge a quel 35% riecheggiando parole simili a quelle che l’allora premier australiano John Howard rivolse agli immigrati musulmani: “Questo è il nostro Paese, la nostra terra e il nostro stile di vita… ma se non fate altro che lamentarvi, prendervela con la nostra bandiera, il nostro impegno, le nostre credenze cristiane o il nostro stile di vita, allora vi incoraggio fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà, il diritto di andarvene… non vi abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto di stare qui. Se non siete contenti, andate via”. Musica per le orecchie di quel 35% dell’UK.
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