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L'opinione
06 Luglio 2024 - 09:34
Fronte popolare. Ovvero il nulla cosmico. Saranno stati gli indiavolati balletti al Pride, sta di fatto che Elly Schlein si è messa in testa di «fare come in Francia». Qualcuno dovrebbe avvertirla, però, che il Noveau Front Populaire in salsa parigina non è né un’alleanza che si propone di governare né una coalizione che esprime un programma e un candidato premier: è soltanto un’accozzaglia di personaggi che si guardano tra loro in cagnesco, tenuti assieme unicamente dalla volontà di sbarrare il passo al nemico comune costituito - tanto per cambiare - dalla destra di Marine Le Pen. Punto. Domani sera, chiusi i ballottaggi, quell’alleanza avrà esaurito il suo compito. Che non è costruire un’alternativa di governo, come invece almeno a parole va ripetendo la segretaria del Pd, ma solo impedire la vittoria degli altri. Sembra incredibile che un tale progetto, senza alcun respiro programmatico, possa essere assunto ad esempio, a modello da seguire da una sinistra che pare regredire ad un infantilismo politico che francamente lascia basiti. L’unica spiegazione è che la forsennata campagna antifascista in atto sia un disperato tentativo di riempire con qualche contenuto lo scarno bagaglio di proposte concrete da presentare agli elettori. Com’è possibile che un personaggio come Jean-Luc Mélenchon, che ha un programma buono per qualche assemblea di studenti anni ’70, venga considerato oggi un esempio da seguire da un partito di sinistra che aspira a governare una Nazione occidentale? Uno che vuole tassare anche l’aria, chiede il disarmo dell’esercito, vuole uscire dalla Nato e altre amenità da gruppettari di questo tipo, per tacere delle posizioni antisemite che in Francia da quelle parti dilagano? Eppure la recente fotografia dei leader delle opposizioni sul palco di Bologna dice esattamente questo: da Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Associazione nazionale partigiani italiani, al fianco di Schlein c’erano praticamente tutti. A cominciare da Giuseppe Conte, che da quando ha rischiato il posto nel partito pentastellato dopo la batosta alle Europee ormai segue come un’ombra la segretaria del Pd, l’unica che può salvarlo dalla disfatta finale. Assieme a Riccardo Magi (+Europa), Angelo Bonelli (Verdi), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) e Maurizio Acerbo (Rifondazione comunista), anche il riluttante Carlo Calenda (Azione) ha lasciato intendere che potrebbe essere della partita, mentre un’inattesa apertura al Pd nelle ultime ore è venuta finanche dall’arcinemico Matteo Renzi (Italia viva). Un agglomerato di leader e leaderini senza uno straccio di linea compatibile in ambito fiscale, economico, sociale e di politica estera. Dalle tasse alle pensioni, dall’Ucraina al Medio Oriente, non potrebbero decidere praticamente su nulla, visto che la pensano ognuno all’opposto dell’altro. Li unisce solo l’avversione al centrodestra e la volontà di difendere lo status quo. Al confronto, le 262 pagine del programma dell’Unione di Romano Prodi nel 2006 sembrano un capolavoro di unità programmatica. Per farla breve, governare è un’altra cosa. D’altra parte la logica del Fronte popolare è la contrapposizione politica in quanto tale, non altro. Da questo punto di vista, a dare una mano al Pd e ai suoi alleati è anche il centrodestra, che approvando la divisiva legge sull’autonomia differenziata ha servito su un piatto d’argento il tipico argomento che coalizza tutti gli avversari, annullando le differenze. Il classico pretesto da Fronte popolare, appunto. Ci aspetta un conflitto sempre più duro e più urlato, destinato ad estremizzare le posizioni e ad allontanare dalla politica sempre più persone che chiedono la soluzione dei problemi concreti. In questa logica, la nuova armata Brancaleone si prepara a contrapporsi all’Esecutivo di Giorgia Meloni in nome della resistenza e della difesa della Costituzione. Con tanti saluti alla necessità di costruire un’alternativa di governo credibile che, comunque la si pensi, è indispensabile per il buon funzionamento di qualsiasi democrazia.
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