Tutte le novità
il punto
11 Luglio 2024 - 11:14
“All’armi, all’armi”…. Ucraina in un futuro prossimo nella Nato e armi e denaro per continuare la guerra. L’appuntamento di Washington per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica, nata con l’obiettivo di raggiungere la pace attraverso il negoziato e di difendersi collettivamente in caso d’aggressione, si svolge in un’atmosfera di bellicismo spinto. L’Unione europea n’è contagiata. Né potrebb’essere altrimenti. Deboli coi forti, forti coi deboli. Viktor Orbàn è, sì, presidente di turno nel semestre ungherese dell’Ue, ma non conta: le sue missioni di pace non devono coinvolgere l’Unione perché non tocca a lui la ricerca del negoziato, bensì ai rappresentanti del ‘governo’ dell’Unione.
Le sue missioni a Kiev, a Mosca e a Pechino sono state “a titolo personale”. Finanche le pietre, tuttavia, sanno che a decidere sulle trattative, sui tempi della guerra e della pace, neppure è il Consiglio europeo. E’ Washington, non Bruxelles. Mentre il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskycontinua, con la tappa nella capitale statunitense, il giro delle capitali occidentali per la raccolta di armi, soldi e applausi, i suoi concittadini proseguono nella raccolta di morti per cimiteri sovraffollati e di feriti da trasportareverso ospedali spesso diruti per le bombe o le schegge provocate dal tiro a centro della contraerea. Centinaia di migliaia le vittime, decine di milioni i fuggitivi dalla madrepatria, devastazioni immani di centri abitati e di patrimonio ambientale che contava le ultime foreste del Vecchio Continente non deturpate dagli umani. E un numero imprecisato ma presumibilmente impressionante, che si ricava da video e notizie sfuggite a una censura opprimente, di arresti e sparizioni di veri o presunti “filo-russi”.
Un regime poliziesco a Kiev, che rifugge dal giudizio democratico elettorale, protetto sia da un’informazione a senso unico perché impedita nella verifica sull’altro fronte, sia dall’interesse palese dei governi alleati ad assolverlo comunque. Capaci soltantoquando si supera la ‘normale’ indecenza, a rimproverarlo per l’oscena e insanabile corruzione che pervade centri di potere e burocrazia: richiami doverosi (non severi maprudenti) perché chi paga il conto in dollari o in euro è il contribuente occidentale. La Nato si riunisce attorno ad un altare di bugie sul quale sacrificare princìpi, dignità nazionali e speranze di un compromesso che eviti il proseguimento della oscena mattanza in Ucraina e il rischio vieppiù concreto di un conflitto nucleare che potrebbe portare all’Olocausto.Una leadership americana dell’Alleanza Atlantica prigioniera – da Bill Clinton in poi dei ‘neocon’ e del complesso militar-industriale.
Ma la Casa Bianca in questo quarto abbondante di secolo ha collezionato, fatta salva la parentesi trumpiana, finti successi e guai reali dai Balcani all’Afghanistan, dall’Iraq al Caucaso, dal Medio Oriente all’Africa e fino all’Ucraina. Si fa finta di ignorare, in questi giorni a Washington, un rosario di sconfitte. La Cina, in trent’anni appena e grazie a una globalizzazione senza regole, è divenuta l’altra superpotenza, rivale e sulla via di divenire nemica. La Russia che s’era privata pressoché pacificamente del “cortile di casa” centrasiatico costato secoli di guerre e di sangue, e che s’era riavvicinata alla “casa comune europea”, è stata risospinta verso i vecchi alleati sovietici dai quali s’era allontanata. Si celebra a Washington un’Alleanza più forte, perché allargatasi a Finlandia e Svezia fino a poco tempo fa neutrali, quando proprio la loro neutralità ai confini disarmati dell’impero russo costituiva una reale garanzia di pace: ora sono frontiere con selve di missili e ci si guarda da un lato all’altro in cagnesco.
E ci si stringe sull’Artico, custode delle ultime miniere non ancora saccheggiate dagli umani, che riapre le sue ultime vie marine finora protette dai ghiacci millenari. Si riunisce, la Nato, chiamando a raccolta i sodàli del Pacifico, mentre i nuovi giganti dell’altra metà del mondo si consultano altrove, e gli amici a metà o condivisi resistono, con un piede di qua e uno di là, a seconda della convenienza del momento. I Non Alleati più o meno lontani dall’Occidente come mercato ma tutti volutamente estranei alle sue logiche strategiche e militari.
La Nato si riunisce a Washington senza sapere se scodinzolare apertamente o con prudenza dinanzi al padrone di casa, perch’è temporaneo, tra qualche mese scade l’affitto e la Casa Bianca potrebbe spalancare nuovamente le porte al vecchio inquilino Donald Trump. Nei sondaggi la maggioranza – almeno ora lo considera il male minore perché, sì, durante il grottesco assalto al Congresso ha avuto momenti – come dire? – scandalosamente ‘pilateschi’, ma almeno le guerre le ha evitate ed è persino riuscito a concludere gli Accordi di Abramo, punto di riferimento per ogni futuro compromesso in Medio Oriente. E questi sono i fatti che contano, eccome. Di Barak Obama, invece, di là dai bei discorsi, ricorderemo la folla sobillata dai suoi diplomatici a Kiev che costrinse alla fuga il presidente democraticamente eletto, Viktor Yanukovich: data d’inizio della tragedia ucraina, ma anche della rinnovata divisione tra l’Occidente euro-atlantico e l’Occidente euro-asiatico. L’incubazione di questa divisione nacqueparadossalmente quando il Vecchio Continente si riunificava.
Dopo quarantacinque anni di confronto armato e di scontro aperto planetario per interposti eserciti. Dopo settant’anni di “marcia verso il nulla” del comunismo sovietico. Questa nuova divisione è la conseguenza della svolta iniziata con il crollo del Muro di Berlino nell’ormai lontano 1989. Il segretario di Stato Usa, James Baker, assicurò a Mikhail Gorbaciov che la Nato non sarebbe avanzata di un metro dai confini segnati dalla Guerra Fredda. Gorbaciov sciolse il Patto di Varsavia. La Nato ne ha occupato lo spazio. Non solo. E’ entrata nell’ex Urss, nei Paesi Baltici. L’ha tentato nel Caucaso. Ora annuncia l’accoglienza prossimadell’Ucraina, si protende verso le porte di Mosca. Inutili gli avertimenti di esperti della strategia globale del calibro di George F. Kennan o Henry Kissinger e di tanti altri, ancora ieri Jeffrey Sachs. Per tutto il resto della sua vita Gorbaciov si pentì di non aver sollecitato un trattato scritto: glielo rimproverarono sempre i suoi concittadini, segnatamente dopo i bombardamenti sulla Serbia, fino alla sua morte e dopo.
Belgrado non aveva attaccato un Paese dell’Alleanza. Neppure era colpevole della difesa dell’ex Jugoslavia: lo sarebbe l’Italia nell’impedire all’Alto Adige, punitodalla geografia, di voler tornare a far parte dell’Austria?... Colpevole, sì, Belgrado, per le stragi di una guerra civile in una federazione ch’era una confederazione artificiale di quell’immonda e inutile carneficina europea che fu la prima guerra mondiale, brodo di coltura della seconda come d’altri conflitti. L’assicurazione americana a Gorbaciov non fu messa su carta ma fu data per sottoscritta durante summit, incontri ufficiali, convegni, conferenze. A metà del 1997 la Nato schiuse l’uscio dinanzi ai primi tre Paesi dell’ex Patto di Varsavia (Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia). Alla Serbia si sottraeva la sua culla storica, il Kosovo. Boris Eltsin inghiottì il rospo ma scelse a succedergli un oscuro ufficiale del Kgb in Germania est, Vladimir Putin, educato alla democrazia dal sindaco di San Pietroburgo, Anatolij Sobchak.
I servizi segreti termometro e ultima trincea dello Stato. Mosca si avvicinò all’Alleanza Atlantica. E venne il sostegno agli Stati Uniti colpiti dal terrorismo islamico l’11 settembre 2001. Putin offrì basi nel ‘cortile di casa’ – e non solo dell’ex Urss per il contrattacco in Afghanistan. E venne Pratica di Mare, ventidue anni fa esatti, il massimo successo italiano in politica estera, con la Russia già con i piedi sull’uscio della Nato. Appena un anno e gli Usa invadevano l’Iraq sul falso motivo di fantomatiche armi di distruzione di massa che Saddam Hussein stava preparando. I curdi, vittime di Saddam, collaborarono pagando costi umani alti. Poi dimenticati, assieme al sogno del Kurdistan, all’etnìa maggioritaria sciita. Proprio come sarebbe avvenuto poi in Siria, e in Turchia abbandonati a Recep Tyyip Erdogan.
E poi, e poi… la repressione della comunità russofona in Ucraina, i trattati traditi sull’autonomia, le trattative boicottate prima e all’indomani dello sciagurato attacco russo, concepito male e attuato malissimo. E due anni di stragi e distruzioni, con un esercito russo incapace di assicurarsi la vittoria (ridicolo pensare che minaccerebbe d’invadere altri Paesi) e un regime ucraino che proclama miracolose controffensive. L’obiettivo anglo-americano di interrompere la collaborazione tra Russia (fonti energetiche) e Germania (produzione industriale) è stato raggiunto. Ma il prezzo è il confronto con la Russia(superpotenza nucleare) alleata alla Cina (superpotenza economica e vieppiù armata). Non ne valeva certo la pena. E torniamo ad Orbàn. Illuminante l’intervista a ‘Newsweek’: “La Nato si sta avvicinando a un momento spartiacque.
L’alleanza militare di maggior successo nella storia del mondo è iniziata come un progetto di pace e il suo successo futuro dipende dalla sua capacità di mantenere la pace. Ma oggi, invece della pace, la sua agenda è la ricerca della guerra e ciò va contro i suoi valori fondanti… Oggi sempre più voci all’interno dell’Alleanza sostengono la necessità, o addirittura l’inevitabilità di uno scontro militare con gli altri centri di potere geopolitico del mondo. Questa percezione di uno scontro inevitabile funziona come una profezia che si auto-avvera. Più i leader della Nato credono che il conflitto sia inevitabile, maggiore sarà il loro ruolo nel precipitarlo... Arnold Toynbee sosteneva che ‘le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio’. Lo scopo per cui è stata creata la Nato era di garantire la pace nell’interesse di uno sviluppo economico, politico e culturale stabile. Se lo realizza vince la pace, se sceglie il conflitto farà suicidio”
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo