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L'analisi
15 Luglio 2024 - 09:17
A leggere le motivazioni alle quali il Tribunale del riesame di Genova ha affidato il rigetto del ricorso con il quale il presidente della Giunta regionale della Liguria aveva chiesto cessassero le misure restrittive domiciliari dalle quali è afflitto, a leggerle mi pare si sia davvero oltrepassato il limite.Premetto: del Toti politico, non ho mai compreso quale fosse il suo messaggio, la sua linea, se una ce ne sia mai stata, insomma perché mai sia transitato dal mondo televisivo a quello della politica. Mi son chiesto, si fa per dire, perché è un percorso sempre più calcato, da quando il sistema democratico ha perso molte delle sue caratteristiche, quelle che l’avevano portato al successo: l’affidarsi ad élites avanguardiste, capaci di vedere un po’ più in là del proprio naso e dunque di costruire piani futuri in grado di assicurare stabilità. Ma questo è altro discorso, che travalica la vicenda del presidente ligure. Costui è accusato non d’aver intascato – chessò alla Pio Albergo Trivulzio – sporche mazzette in contanti da far sparire alla bisogna con un tiro di sciacquone all’inaspettato sopraggiungere dei militi. No, visibilissimi finanziamenti allibrati come legge vuole, percepiti da imprenditori locali. Quel che – almeno all’apparenza – è quanto normalmente accade ad un politico, normalmente non finanziato da affiliati ad ordini monastici o pellegrini bisognosi. Dunque, l’accusa si fonda non su chissà quali scoperte, bensì, più semplicemente, su qualificazioni giuridiche, supportate, per carità, da interpretabili conversazioni telefoniche, alquanto pecorecce, peraltro. Parlo del Toti, e non della ben diversa posizione del presidente dell’autorità portuale. Questo il quadro di sfondo. Il Toti nega che le sue condotte possano considerarsi reato, la Procura sostiene il contrario: questione chiaramente di valorizzazione di fatti, non di scoperta di chissà quali fumanti pistole. Questione d’interpretazione giuridica. Cosa accade dinanzi al Tribunale del Riesame? Beh, qualcosa d’alquanto sconcertante. Tra l’inquisizione e la derisione. Il Toti riconosce i fatti, del resto alla luce del sole, ma non la qualificazione di reato che ne fa l’Accusa – l’Accusa, non una sentenza passata in cosa giudicata. Per i giudici invece «è quasi paradossale che la difesa rivendichi il diritto dell’indagato ad ammettere il solo fatto e non il diritto». Paradossale, di grazia perché? Perché, evidentemente, la voce della Procura è vox Dei. Perché se non s’ammette d’aver delitto, non s’ha diritto ad esercitare la carica elettiva. Ed il diritto a farsi processare difendendosi è poi sì tanto paradossale? Mah! Non basta, perché il Toti aveva giurato e spergiurato d’astenersi nel prosieguo da analoghe condotte, pur da lui reputate lecite. Un’astensione dal reiterare, che nemmeno avrebbe dovuto essere dichiarata, dato che è nella logica e nel buon senso che un presidente di Giunta regionale circondato da quattro anni da così tante premure della locale Procura della Repubblica, una volta rimesso in libertà – a meno non sia pazzo o tonto – assai difficilmente avrà ancora rapporti di finanziamento che ripetano le stesse condotte per le quali è al fresco di casa da ormai alcuni mesi. Questo lo capisce un bambino, ma non il Tribunale del Riesame, che considera infatti il Toti un tonto a tutto tondo. Scrive il Riesame: «L’impegno ad astenersi da condotte analoghe suona come una sterile presa d’atto della fondatezza di accuse che pure non si è voluto ammettere nel corso dell’interrogatorio», per aggiungere oltre che «non si vede perché debba promettere di non agire più con modalità» che non ha riconosciuto illecite. Per poi concludere beffardamente: «né può ipotizzarsi che Toti si faccia spiegare ogni volta dagli inquirenti cosa sia lecito e cosa non lo sia». In questa silloge del pensiero del Tribunale c’è quanto serve a comprendere in che mondo ci troviamo. Anzitutto, il Tribunale ha già deciso (nella fase del Riesame), che il Toti è colpevole, che quelle condotte sono reato e che, soprattutto, o il Toti le ammette o se ne resta nella sia pur dorata, ma sempre cella di casa. Non poco, se si considera che siamo ancor prima che il processo abbia avvio, siamo insomma alle indagini: e come detto, la vicenda è tutta una questione di qualificazione di condotte, tutte alla luce del sole: detto per incidens, gli atti amministrativi che il Toti avrebbe favorito, nemmeno è dimostrato siano illegittimi. Dunque, inquisizione: o si confessa o si resta astretti, oggi grazie a dio non anche torturati fisicamente. Ma poi – quel che umanamente è più grave – il Tribunale si prende gioco del Toti, lo considera un minus habens, lo considera un uomo privo della benché minima capacità di discernimento e d’autodeterminazione. Dice di lui: se non ammette il reato, se non si dichiara colpevole fin da ora, come potrà astenersi dal porre in essere le medesime già attuate condotte – che il Tribunale considera delittuose – dato che non ne avverte l’antigiuridicità? Dare dell’imbecille in maniera più schietta al Toti avrebbe necessitato solo l’uso, senza mezzi termini, dell’aggettivo. Perché, praticamente, il Toti sarebbe tanto privo di mezzi critici dal non saper identificare una condotta che l’inquirente considera vietata – e dunque, opportunisticamente evitarla – pur se egli la reputa pienamente lecita. In sostanza, accomunato ad un animale – foresto, non domestico – incapace di governare gli istinti. Io credo che quando il ragionamento del giudice si discosta un troppo dal buon senso, da quello che ognuno crede e pensa pursenza esser avvolto in una toga ed al riparo d’un banco diTribunale, c’è qualcosa che seriamente non va. C’è qualcosa che va corretto, ma non nelle procedure, bensì negli abiti mentali, nelle categorie di giudizio di chi per mestiere giudica gli altri, perché a nessuno dovrebbe esser consentito di farsi gioco della ragione, dell’esperienza e dell’altrui reputazione.
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