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Il teologo
21 Luglio 2024 - 10:58
Nella notte buia di questo tempo, segnato anche dalle ferite dell’infedeltà e dell’abbandono, risplendono, maggiormente, i sacerdoti che ci hanno accompagnato, guidato, sostenuto. In ognuno la santità di Dio si è fatta frammento, nonostante l’imperfezione e, in non pochi, si è fatta stella sul nostro cammino. La Chiesa di Napoli annovera tra i suoi innumerevoli santi, tantissimi sacerdoti, secolari e religiosi; parroci, missionari, fondatori di opere e di congregazioni. Citiamo solo, tra i tanti, Alfonso de’ Liguori (1696-1787)8 e Vincenzo Romano (1751-1831)9, capaci di incarnare la santità del Vangelo nello specifico del contesto napoletano tra Settecento e Ottocento.
Accanto a loro, ricordiamo i sacerdoti santi della porta accanto, che hanno segnato, con il loro ministero, la vita dei credenti: uomini di ingegno, dalle virtù eroiche, passati nel calendario della gratitudine di non pochi credenti. Ed è sorprendente assistere, in un periodo in cui il sacerdozio non gode sempre di buona fama, al movimento spontaneo di non poche comunità parrocchiali che chiedono, alla Chiesa di Napoli, di portare l’esempio dei propri sacerdoti all’attenzione della Chiesa universale. Popolo e pastori. Non si tratta di affermazioni di campanile e neanche di ricerca di un passato mitico attraverso il riconoscimento di figure eroiche. Si tratta di memoria grata, un segno profetico che non possiamo ignorare e che dà coraggio. Leggendo la tesi del giovane Papaccio mi sono ritornate alla mente queste parole poste quasi all’inizio del recente Documento del nostro Sinodo Diocesano dedicato al Sacerdozio e ai Sacerdoti.
Il lavoro di Gerardo mi pare si possa inserire in questa “memoria grata” che non poche volte sente il bisogno di esprimersi e in tantissime forme verso i presbiteri. Solo negli ultimi anni, per esempio, non poche sono le pubblicazioni nella nostra Diocesi dedicate proprio a loro; l’ultima e importante è stata voluta dal Cardinale Sepe (“In memoria di voi...Sacerdoti della Chiesa di Napoli”), il quale nella prefazione si augurava che “questa esperienza trovi immediata continuazione per tratteggiare medaglioni di immagini di persone che hanno lasciato un luminoso esempio in unica cordata con tutti i sacerdoti della storia del passato e del presente della nostra Arcidiocesi”. La novità, qui, è che il lavoro “perché non si perdano le orme” non lo abbia continuato soltanto il giornale diocesano, oppure qualche prete, o qualche storico, ma un giovane.
Questo la dice lunga di quanto un uomo e un prete possano davvero incidere nella vita se un giovane, per quanto cattolico e studente di teologia, sente la necessità di concludere il suo percorso di studi con una tesi su un prete, in questo caso su “Mons. Mauro Piscopo. L’uomo, il presbitero, l’azione pastorale”, come dice il titolo della tesi. Ma forse non è poi così strano: già Paolo VI, opportunamente citato da Gerardo nell’introduzione, ricordava che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri è perché sono testimoni. Credo sia qui la motivazione più profonda della tesi di Gerardo Papacci: dare concretezza a queste parole di S. Paolo VI perché le si vede incarnate nella figura di un prete che ha unito con coerenza e autenticità parola e azione, diventando fonte di ispirazione e di guida non solo per lui, ma per quanti cercano un senso nella complessità di questo mondo e un faro di speranza, un punto di riferimento sicuro per se, per il popolo di Dio e per i tanti suoi cercatori.
Il desiderio, però, non è solo quello di indicare testimoni ed esprimere loro la gratitudine del proprio giovane cuore, ma anche quello di diventare a propria volta testimone. Il prete di Casoria, Don Maurino, viene opportunamente riletto tenendo presente il contesto ambientale, spirituale ed ecclesiale di una Città patria di sante e santi, delle sue esperienze di formazione, come dei primi anni del presbiterato. Il candidato mostra di cogliere l’importanza di quelle che il Cardinale Martini chiamerebbe le coordinate geografiche, ambientali e psicogenetiche di una vita e di una vocazione, che rendono ragione di un’esperienza in modo significativo e, soprattutto, incarnato.
Nel primo capitolo, infatti, non solo Gerardo passa in rassegna in modo sintetico ed efficace, l’atmosfera spirituale di Casoria, ma anche i riferimenti affettivi con cui Mauro si è identificato, in modo particolare il rapporto con colui che poi sarà l’arcivescovo di Napoli Alfonso Castaldo. Nel secondo capitolo viene esplorato soprattutto il suo impegno a recepire ed attuare con intelligenza pastorale le sfide del Concilio Vaticano II. Nel cuore di Don Mauro una particolare attenzione e premura verso gli anziani, i bambini, soprattutto i più disagiati; forte e costante il suo sguardo di pastore per tutta la comunità con un concreto interessamento verso le famiglie e il mondo del lavoro. Un’attenzione particolare, poi, viene dedicata alla robusta e tenera devozione di padre Piscopo alla Vergine di Lourdes, ccon gli innumerevoli pellegrinaggi soprattutto di ammalati alla Grotta tanto da meritare il titolo di Cappellano di Onore del Santuario.
Nell’ultima parte della tesi dedicata a Don Mauro una testimonianza diretta ed immediata dei suoi ideali, della sua umanità come della sua spiritualità e del suo impegno pastorale. Nella tesi, in modo lineare ed efficace è emerso il profilo di Don Mauro, l’essenziale della sua consacrazione e missione sia all’interno del popolo di Dio che nell’ambiente e nella società. I vari riconoscimenti anche pubblici che la Chiesa e la città di Casoria hanno voluto esprimere con tracce inequivocabili e indelebili ad un suo illustre figlio, danno ampiamente conto dell’umile e luminosa testimonianza dell’uomo, del presbitero e dell’azione pastorale di Monsignor Mauro Piscopo.
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