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L'opinione
09 Agosto 2024 - 19:58
La strage di Bologna
Dunque vediamo. Se qualcuno mette in dubbio la verità giudiziaria sulla strage di Ustica è cosa buona e giusta; sana ricerca della verità; operazione giornalistica non solo pienamente corretta, ma meritevole addirittura del bollino d’oro del giornalismo d’inchiesta. Bene. Se però qualcun altro mette in dubbio la verità giudiziaria sulla strage di Bologna beh, allora è uno scandalo; un volgare tentativo di «riscrivere la storia» e «mettere in dubbio le sentenze». Quello che era giornalismo d’inchiesta si tramuta improvvisamente in giornalismo spazzatura.
Qual è la differenza tra le due cose? Semplice: la verità giudiziaria su Ustica la mette in dubbio la sinistra (peraltro con fondate ragioni che, in parte, sono ampiamente condivise anche a destra); quella sulla strage di Bologna la mette in dubbio la destra. Quindi apriti cielo. La gazzarra che tiene banco da una settimana si ripete a inizio agosto di ogni anno, quando si celebra l’anniversario del più grave attentato della storia dell’Italia repubblicana. Una strage che “deve” essere fascista. E guai a chi osa metterlo in dubbio.
Anche se negli ultimi anni è emersa una quantità gigantesca di nuovi documenti? Sì. Anche se quelle carte raccontano tutta un’altra storia rispetto a quella dei fascisti stragisti (ovviamente, com’è noto, le due parole sono sinonimi)? Sì. La nuova documentazione, in gran parte (ma non solo) proveniente dagli archivi dell’Est resi accessibili in seguito alla caduta del Muro di Berlino, fa emergere chiaramente la pista di una ritorsione palestinese per la violazione del Lodo Moro: l’accordo segreto tra l’Italia e i terroristi mediorientali in base al quale noi non disturbavamo i movimenti di armi e uomini sul nostro territorio, e in cambio i palestinesi s’impegnavano a non colpire obiettivi italiani. Un’intesa che s’incrinò nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 a Ortona, in provincia di Chieti, quando 3 esponenti di Autonomia operaia furono beccati mentre trasportavano due lanciamissili Sam 7 Strela di proprietà del Fronte popolare della Palestina (Fplp).
Nell’ambito di quelle indagini, una settimana dopo fu arrestato anche Abu Anzeh Saleh, responsabile della rete clandestina dell'Fplp in Italia. L’evento decisivo fu la mancata scarcerazione prima e la condanna poi di Saleh. Nei documenti ci sono innumerevoli evidenze di un crescendo di tensioni e minacce di ritorsione da parte dei palestinesi nei confronti dell’Italia, con la richiesta della restituzione del materiale bellico e della libertà per Saleh.
L’8 ottobre 1986, davanti al giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni, il colonnello Silvio Di Napoli, all’epoca dei fatti vicedirettore della Seconda divisione del Sismi (l’allora Servizio segreto militare), mise a verbale che «dopo la prima condanna inflitta agli autonomi e al giordano (cioè Saleh, ndr) pervenne da Giovannone l’informativa secondo cui il Fplp aveva preso contatti con il terrorista Carlos. Ciò avallò la minaccia prospettata da Habbash». Stefano Giovannone era il capo del Centro del Sismi a Beirut; George Habbash era il leader del Fplp.
Il 14 aprile 1980 il Sismi, con un appunto dai toni allarmati, fece sapere al presidente del Consiglio e ai ministri della Difesa e della Giustizia di avere appreso che elementi estremisti del Fplp avevano preso contatti col terrorista venezuelano Carlos, nome di battaglia del noto superterrorista Ilich Ramirez Sanchez. Il nostro Servizio segreto riteneva possibile «un’iniziativa contro l’Italia». Cioè un attentato.
È certo che il giorno della strage, alla stazione di Bologna era presente Thomas Kram, terrorista tedesco delle Cellule Rivoluzionarie, esperto di esplosivi e legato al gruppo Carlos: per quale ragione gli accertamenti di polizia sulla presenza di Kram a Bologna vennero improvvisamente interrotti e i telex della Questura sul tedesco vennero poi insabbiati nel faldone delle segnalazioni anonime? È solo una delle decine e decine di domande rimaste senza risposta in questi anni. Guai però a farsele: si rischia il linciaggio.
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