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L'opinione
12 Agosto 2024 - 09:29
Carro armato ucraino
La sortita Ucraina nella regione russa di Kursk ha con sé il consenso degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Il secondo ha un rilievo molto relativo, data la cronica mancanza di peso politico dell’Ue, incapace d’esprimere una linea unitaria ed anzi molto divisa al proprio interno, anche sulla guerra che si sta combattendo; il primo invece significa di più. La propaganda occidentale sta rappresentando quella che è poco più d’una sortita come una messa a serio rischio della tenuta di Putin nella sua strategia. Può darsi, ma c’è da dubitarne.
Non tanto perché siamo ormai abituati alle esagerazioni propagandistiche del mondodell’informazione occidentale sulle debolezze della Federazione russa: chi ha un po’ di memoria ricorderà che un paio di mesi dopo l’inizio dell’operazione speciale putiniana, ci fu narrato che l’economia moscovita era al collasso, sul punto di sprofondare, a tal segno che la Direttrice della Banca centrale era data si può dire in fuga e Putin quasi a farla arrestare. Se non vado errato, la Direttrice è ancora lì e l’economia della Federazione è ancora salda, anzi più florida che pria. Dunque, c’è poco da credere a quel che ci viene riferito.
Del resto, che un migliaio di pur agguerriti militi ucraini riescano a penetrare in uno dei tanti possibili fronti del vasto confine comune sfruttando il formidabile – in guerra è sempre così – effetto sorpresa, non è cosa da nulla, ma certo è la manifestazione tipica d’una delle forme del combattimento, la sortita, appunto.
Piuttosto, questa sortita ha una valenza simbolica diversa, a mia discutibile opinione. E non nel senso che essa possa davvero mettere in discussione il potere interno del dittatore moscovita. Questo, a meno di imprevedibili sequenze – imprevedibili per chi non dispone, come me, di fonti privilegiate – è da escludere. Proteggere sempre ed efficacemente l’intero territorio della Federazione è semplicemente impossibile: nessuno Stato, anche il più potente, può avere sempre attivo un cordone militare che lo recinga lungo tutta l’estensione dei suoi confini: figurarsi se ne può disporre un Paese sconfinato quale la Russia è.
Nemmeno gli Stati Uniti possono impedire che qualcuno s’avventuri in un attacco sul proprio territorio: ed infatti non ci sono riusciti. Quel che però l’iniziativa di Zelensky mi pare indichi di più, è che attuare un simile disegno vuol dire non siano previstetemibili reazioni.
Putin ha più volte affermato che, nel caso in cuiil territorio russo fosse stato coinvolto nella guerra, le conseguenze sarebbero state enormi, incommensurabili; diede del demente al Segretario Generale della Nato, che aveva ipotizzato l’utilizzo di missili dell’organizzazione per colpire il suolo della Federazione. E difatti dopo la sortita Ucraina della scorsa settimana, l’ex Presidente Dimitrij Medveded ha invocato l’invasione totale dell’Ucraina ed anche oltre. Per ora, la risposta si sta facendo, il bombardamento di un supermercato con quattordici vittime civilie missili lanciato al centro di Kiev, con morti vari.
Ma poi? Possibile che il Presidente Ucraino non si sia posto la domanda delle conseguenze alle quali la sua sortita – poco significativa sul piano militare, anche se la stampa la definisce utile strumento difensivo – avrebbe potuto e potrebbe avere sul livello di aggressività che la Russia – con i suoi oltre 4.000 aerei da combattimento, con i suoi missili, le sue armi nucleari, tattiche e non – è in grado di porre in campo?
Possibile che questo non sia stato un tema? Non lo credo. Ed allora, sempre ragionando a fil di logica, che però non è sempre il modo migliore per comprendere i problemi della politica e men che mai della guerra, o Zelensky è alla disperazione ed ha tentato il tutto per tutto, con il consenso preventivo – sarà vero? – degli Usa o dispone d’informazioni che gli hanno suggerito di porre in essere questa nuova strategia – perché di strategia del tutto inedita s’è trattato, essendo state inviate truppe di terra in suolo russo per la prima volta – sicuro che conseguenze più gravi non ve ne sarebbero state.
Ma i fatti sembra lo stiano già smentendo. Difficile dire, ed i commentatori non s’azzardano a proporre risposte, salvo a valorizzare la tesi – che è un modo per ridurre la portata del fatto, per dequotarne la valenza bellica e politica – che si tratterebbe nient’altro che di un’altra forma di difesa: l’aggredito si difende aggredendo a sua volta. Il che è indubbiamente vero, ma lo è in parte soltanto. Perché questa tattica ha un senso ed un fondamento quando a scontrarsi sono forze che sul campo si pareggiano: ma così non è nel caso della Russa e dell’Ucraina, incomparabilmente diverse quanto a potenza di fuoco ed a spessore economico.
In casi come questo, l’invasione dell’altrui territorio – inidonea a produrre effetti significativi sull’andamento bellico – sempre che non intervengano fattori non prevedibili, sui quali quindi non si può contare – vale però come terribile provocazione, come drappo rosso sventolato dinanzi al toro già di per sé inferocito dalla protratta corrida. O si ha modo di finirlo, il toro, o si può scatenare il peggio, l’ira funesta di un dittatore beffato, emarginato dai consessi internazionali, impantanato in una guerra di posizione che lentamente sta logorando l’avversario, ma che non ha condotto ancora a momenti decisivi.
Ed offrire a questo dittatore il pretesto per elevare, questa volta in modo finale, il grado dell’offensiva può essere molto, molto pericoloso, letale. Questo a giudicare dall’esterno, come può fare chi osserva senza essere nelle secrete cose. E forse avrebbe fatto meglio a star zitto, ma poiché può andarne della storia dell’umanità, alla quale nessuno può dirsi estraneo, ad esprimere l’opinione appare legittimato, anche perché le cose, in simili condizioni, possono sfuggire di mano pure a coloro i quali avrebbero nelle loro, di mani, le leve della decisione.
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