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L'opinione
14 Agosto 2024 - 09:40
La Corte Costituzionale
Le due sentenze (n. 139 e n. 140) con cui la Consulta ha provato a sbrogliare la matassa del payback per i dispositivi sanitari, facendo almeno chiarezza su due aspetti: legittimità costituzionale e proporzionalità, offre molteplici spunti di riflessione “politici” a valle di una misura che, come hanno ribadito gli stessi giudici delle leggi, “presenta di per sé diverse criticità”.
Il più importante dei quali è, a mio avviso, lo spazio che la Corte costituzionale lascia aperto quando riconosce la natura della norma qualificandola come “contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale”, al fine di “assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico finanziaria di grave difficoltà”. Un “contributo solidaristico”, tuttavia, ha carattere temporaneo ed occasionale.
Esattamente l'opposto di quel che si è verificato e si verifica, da almeno quindici anni, nel mondo delle forniture sanitarie. Le Regioni sforano sempre o quasi sempre i budget (e chi non lo fa dovrebbe poi spiegare che tipo di assistenza offre ai suoi cittadini, ma questo è un altro discorso) tanto che già nel 2011 il Governo dell'epoca aveva deciso di fissare dei tetti percentuali sul superamento dei limiti di spesa poi ulteriormente aggiornati e rimodulati dall'Esecutivo Renzi e, infine, attivati e resi operativi dal Gabinetto Draghi con la tagliola del payback.
Cosicché nel 2023 migliaia di piccole e medie imprese, la reale ossatura del mercato dei dispositivi medici, a differenza di quello del farmaco dominato dai colossi di Big Pharma, si son ritrovate a dover “rimborsare” le Regioni per la vendita di forniture extra budget nella finestra 2015- 2018; e altrettanto si presume accadrà anche in quella successiva 2019-2023. Dunque, di fronte a questa serialità di discutibili condotte da parte delle Regioni si può parlare ancora di “contributo solidaristico” o piuttosto dovremmo parlare di finanza pubblica integrativa?
Le imprese del comparto sanitario son diventate la stampella dell'Erario? O si preparano a diventarlo? Non intendiamo rispondere a questa domanda trattandosi di un quesito che dovrà essere affrontato dai Tribunali amministrativi regionali del Lazio e della Campania, che hanno innescato il ricorso alla Consulta, ma possiamo comunque provare a immaginare che cosa succederebbe se il payback fosse normalizzato come elemento naturale della vita finanziaria delle aziende che lavorano con il Servizio sanitario nazionale o regionale: ci troveremmo di fronte a uno svuotamento del mercato con le società fornitrici in fuga dai bandi, ben consapevoli che prima o poi scatterebbe il risarcimento postumo, o costrette a raddoppiare i prezzi dei tariffari per far fronte al rischio payback.
Scenari entrambi in cui a farne le spese sono i cittadini e le famiglie dei lavoratori del settore. Attribuire particolari responsabilità alla Consulta non è solo ingiusto ma tecnicamente sbagliato perché, in fondo, ha riconosciuto le ragioni delle imprese circa la riduzione al 48% dell'importo originariamente posto a carico delle Pmi: la sua è stata una valutazione di legittimità, e non poteva essere altrimenti. Entrare nel merito tocca ad altri. Ai quali però è opportuno ricordare che decisioni in contrasto con le positive prassi dell'economia aziendale (e col buonsenso) rischiano di innescare un meccanismo a catena di distruzione di un intero comparto produttivo. Servono calma e sangue freddo.
*Ceo Rigenera-Hbw e responsabile Sanità del Forum italiano dell'export
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