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L’ANALISI
19 Agosto 2024 - 10:53
Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti
Chi si ponesse ad osservare con un appropriato distacco la politica italiana, non potrebbe mancare di cogliervi un paio di elementi altamente condizionanti. Anzitutto, ed è probabilmente il più grave, l’estremamente precaria situazione economica dei conti dello Stato. Con un debito pubblico che ha raggiunto, in una pressoché incontrastata ascesa, il vertiginoso ammontare di quasi 3.000 miliardi € – senza che il prodotto interno lordo del Paese sia minimamente in condizioni di sostenerli– le possibilità di una politica economica costruttiva e non semplicemente difensiva sono azzerate. Il che non manca di produrre conseguenze di breve e media durata su ogni aspetto del governo del Paese. A ciò deve aggiungersi l’altro corno del problema, del resto non scisso dal primo, dato che in situazioni di maggiore difficoltà finanziaria ogni esigenza tende a trasformarsi in necessità assoluta, senza possibilità di mediazioni. L’altro corno del problema è uno strisciante egoismo, un esasperato e miope aggregarsi intorno agli interessi apparentemente più forti, ma nella realtà avvertiti per tali solo per un difetto d’informazione e conoscenza: un deficit di coscienza, al quale segue in genere un giudizio incapace di lungimiranza e condizionato da istinti indotti da una propaganda manipolata ad arte, che mira a far leva su quel che più agevolmente mistifica la realtà delle cose, perché basato sul dato fenomenico più immediato, su ciò che apparentemente pressa di più senza però che per questo sia anche il più illuminante sul da farsi.
Vari sono gli indici di questa realtà. Si parta dalla cosiddetta ‘italianità’, che sarebbe un valore se costituisse da sprone per ciascun cittadino ad operare nell’interesse collettivo, a partire dai pubblici dipendenti. Così non è affatto, ma viene piuttosto invocata quando si tratta di ingiuriare se non anche bullizzare qualcuno per il colore sella sua pelle, con politici sempre pronti a far da spalla con vischiosi distinguo, che hanno solo lo scopo di poter rintuzzare le accuse di razzismo – ben meritate – quando a loro volta immancabilmente vengono gridate, spesso solo per associarsi l’altra parte dell’elettorato. O si pensi, ad esempio, al sacrosanto ius scholae, che costituirebbe un’eccellente mediazione (rispetto allo ius soli), dato che chi abbia studiato in Italia per un bel numero di anni, ha anche mostrato di voler acquisire i nostri valori (ammesso ce ne siano) ed anzi ad esso s’è formato: e poiché la mente è una spugna porosa, se d’italianità si può parlare, italiano è diventato anche quello studente, intimamente, non per decreto sindacale che dovrebbe solo registrare quanto avvenuto. Ma nemmeno questo va bene, chissà perché. O si pensi alle resistenze che ancora si frappongono – anch’esse frutto d’una provincialissima cultura autoritaria e di sovrapposizione – al diritto a morire della persona incurabile. Per non dire dell’autonomia differenziata: una tra le forme di egoismo, territorialità, assenza di visione collettiva e nazionale delle cose, tra le peggiori immaginabili. E non suoni dissonante col ‘nazionalismo’ di cui sopra: perché quel nazionalismo, come detto, non è motivante senso identitario, bensì forma analoga di difetto di solidarietà e di responsabilità, non diverso da ciò che si oppone allo ius scholae ed alimenta l’italianità razzista o vuole imporre la propria visione a spese dell’altro che chiede solo di lasciare il carcere del proprio insanabile corpo. O, ancora, la resistenza all’umanizzazione delle carceri, forse la più grave di tutte queste fenomenologie, perché il carcere è la forma attraverso la quale lo Stato si pone a correggere le deviazioni più gravi, quelle che richiedono – almeno secondo le legge attuali – la punizione corporale, attraverso la privazione della libertà. E quando il carcere s’attesta tra i primi e più avanzati presidi dell’illegalità – sì, di un’illegalità che spinge detenuti e controllori sino al periodicosuicidio – che ancora si cincischi sull’assunzione di radicali iniziative è davvero il frutto più inconcepibile dell’insensibilità umana che sta attraversando il nostro Paese. Sappiamo tutti che non esistono soluzioni semplici né definitive, che ad ogni misura corrispondono anche effetti indesiderati: ma questo fa parte della vicenda umana e lo si sperimenta, individualmente e collettivamente, di continuo, a cominciare da quando s’assume un farmaco per contrastare una patologia. Ciò non vuol dire però che possa continuarsi a guardare altrove o a sommergere sotto un profluvio di parole la sostanziale inerzia. O, peggio, come ha fatto il Sottosegretario alla Giustizia, il ben noto onorevole Del Mastro Delle Vedove, a recarsi in un carcere per incontrare solo rappresentanti della polizia penitenziaria – in modo da solidarizzare col braccio della legge, peraltro a sua volta meritevole di ben diversa solidarietà – menando vanto di non aver incontrato nemmeno un detenuto, perché ‘nella sua delega – sic! – c’è, appunto, la polizia penitenziaria, non anche il detenuto. Ogni commento sarebbe spreco d’inchiostro, che per sua fortuna nemmeno è più presente in questa pagina. E si potrebbe continuare non per poco.
Insomma, il nostro Paese è – mi pare – dinanzi ad alcune scelte di fondo. Dovrebbe per prima cosa porsi seriamente il problema della compatibilità finanziaria: i danni che stiamo provocando al bilancio dello Stato – quelli tra gli altri che ha procurato la deleteria esperienza dei ‘governi purché si governi’ intestati al signor Conte – creeranno effetti devastanti, già oggi visibili ma forse ancora reversibili, se il rigore si sostituisse a goffaggine e buffoneria. In secondo luogo, una svolta decisa per la civiltà, abbandonando populismi ed impegnando le dirigenze politiche adeducare verso seri valori cooperativi e non adescando con mistificanti fandonie. Certo, sarebbe necessario che dalla scena politica sparissero alcuni attuali protagonisti. Vasto programma…
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