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lo straniero
24 Agosto 2024 - 10:37
Potrebbe essere il titolo di una fiaba per bambini, ma è invece una storia vera. Ero dal mio barbiere, un uomo senza molta dignità. Si lamenta continuamente dei figli di quanto siano cattivi con lui e che a volte è costretto a saltare i pasti a causa della miseria in cui vive. Arriva addirittura a far scendere una lacrima al momento di domandarmi dei soldi parlandomi della sua situazione. “Perché continui ad andare da lui?” mi ha chiesto l’ex presidente del circolo Canottieri, è un pessimo barbiere oltre ad essere un viscido individuo. Qualche settimana fa mi ha anche proposto di assumere sua nipote come donna delle pulizie: «Una giovane donna di 33 anni che può fare il doppio servizio», ci ha tenuto a precisare.
Ma ecco che all’improvviso, durante lo shampoo, sento le sue dita irrigidirsi fino a fermarsi dal massaggiarmi. Con un “permesso” si scusa e si precipita fuori. Riaperti gli occhi e dopo essermi asciugato io stesso i capelli con l’asciugamani, lo intercetto per strada mentre un’orribile donna di mezza età lo stava minacciando: vestita completamente di nero di stazza notevole, e dalla voce rauca che usa ad un volume notevole anche se si trova a discutere vicino all’interlocutore. Puntando il suo indice sotto il mento del barbiere a mo’ di minaccia, gira le spalle e se ne va senza neanche salutarlo. Il barbiere rientra piuttosto sconvolto: a fronte di un prestito iniziale di 55 euro, gli interessi in un solo mese sono saliti a 80. «Sono due usuraie, e tra le due, la figlia è la peggiore» mi spiega; «io le devo chiamare signore, portarle rispetto ed esserle grato per il servizio che gli rendono». È come nella novella di Matilde Serao nel Paese della Cuccagna, ben 133 anni fa.
Queste “sfruttatrici del popolo”, provenienti loro stesse dagli strati più bassi della società, sono temute e venerate allo stesso tempo, come riportato nella prefazione. Io mi ricordo bene della storia e della scaltrezza con cui gli usurai facevano leva sul desiderio di un’umile sarta che desiderava un prestito per confezionare un bel vestito per far bella figura con il giovane che l’aveva invitata per la passeggiata. Le due sorelle usuraie ottennero dalla padrona della sartina una parte del salario a garanzia del prestito, minacciando la fanciulla di morte se avesse provato a fuggire: “Io ti ritroverei e ti farei vedere chi è Concetta Esposito. Per me andare in prigione è del tutto indifferente… Mi sono spiegata bene?”. “Il racconto realista, testimonia la miseria che regnava all’epoca nella città di Napoli”, commenta l’editore.
L’avventura del barbiere evidenzia chiaramente che quell’epoca lontana non è affatto passata. Napoli è una pozzanghera stagnante in cui la città si riflette. Lei si nutre della sua stessa pioggia senza sbarazzarsi dei peccati del passato che sedimentano al fondo di sé stessa. Al contrario del resto del mondo che è andato avanti, rinnovandosi. Adesso capisco meglio l’opinione negativa espressa da Ermanno Rea, scrittore di sinistra a proposito del popolo di Napoli. Non è mai solidale con quelli della stessa classe sociale ma che anzi prova a imbrogliarli. Ma torniamo al barbiere! “Mi presta questi soldi per favore” m’implora il barbiere con un fil di voce. “Se tu non riesci a restituire i soldi a Cira, come potrai rimborsare me?”, rispondo io alla sua domanda. D’improvviso mi viene in mente un’idea: questo piccolo quadro che raffigura il mio quartiere 50 anni fa, appeso al muro; gli propongo di comprarlo per 80 euro, in modo da non farlo sembrare un povero mendicante. “Passerò dopo domani per prender il mio quadro perché non rientro direttamente a casa”. “Non ti preoccupare; il quadro è tuo e grazie di cuore”, mi risponde il barbiere salutandomi.
Due giorni dopo, sento grida provenienti dal suo salone. Dal momento in cui mi vede entrare, l’usuraia s’interrompe, e mi saluta “dottore” con un tono quasi dimesso e lascia il salone. Io sono fuori dal sistema; del tutto insensibile ad ogni genere di minaccia o atteggiamenti intimidatori; lei è consapevole del suo potere ma anche dei suoi limiti. “Sono venuto a ritirare il mio quadro”, dico al barbiere. “Vale più del prezzo che Lei mi ha dato, bisogna che Lei aggiunga due volte questa somma!”, risponde il miserabile. È la seconda volta che una vittima dell’usura a cui tendo una mano cerca di fregarmi. Forse dovrei arrendermi e seguire i consigli che tutti attorno a me mi continuano a dare: “Occupati degli affari tuoi e lascia che le cose a Napoli continuino a girare così come hanno fatto da mille anni or sono”.
Io confermo la mia scelta di essere un cittadino di Napoli dove ho peraltro la mia residenza, ma dall’altro lato vengo da fuori. Sto pensando per me stesso e agisco liberamente senza preoccuparmi di qualunque vincolo propriamente napoletano.
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