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l'analisi

Una Manovra di crescita, non di galleggiamento

La strada maestra passa per una gestione prudente del bilancio

Una Manovra di crescita, non di galleggiamento

Fine della ricreazione. A suonare la campanella sotto l’ombrellone quest’anno è stato il governatore di Bankitalia. Fabio Panetta ha rimarcato un’ovvietà nota e stranota, cioè che «il problema cruciale dell’Italia rimane la riduzione del debito pubblico in rapporto al prodotto», ricordando così a tutti che forse è giunta l’ora di mettere da parte le chiacchiere estive e tornare a concentrarsi sulle cose serie.

Soprattutto, bisogna ficcarsi in testa che il problema del debito pubblico ormai a quota 3mila miliardi e al 137,3% del Pil non è cosa ne pensi la Commissione Ue, ma quali conseguenze produce in Italia e quanto costa. Gli interessi viaggiano ormai verso i 100 miliardi, tutte risorse sottratte al taglio delle tasse, agli investimenti e al rilancio della crescita economica, al welfare, alla sanità, all’istruzione, al sostegno dei più deboli e chi più ne ha più ne metta.

Certo, gran parte del debito è finanziata da investitori italiani, ma ciò significa solo che il costo lo paghiamo tutti, mentre gli interessi li incassano solo alcuni. Nella speranza che la Bce abbassi i tassi d’interesse a settembre, indipendentemente da questo l’obiettivo dovrebbe essere uno solo: riuscire, in un lasso di tempo ragionevole, a far crescere il debito meno velocemente di quanto cresca l’economia. Esattamente il contrario di ciò che avviene oggi. Per questo produciamo deficit. Sarebbe il caso che qualche segnale in tal senso arrivasse in vista della Manovra.

La strada maestra passa per una gestione prudente del bilancio, affiancata da un deciso incremento di produttività e crescita. Ma senza uno scatto di reni sul debito resteremo nell’ambito di una faticosa manutenzione dell’esistente che inciderà poco, sia sul fronte dei conti pubblici che su quello della spinta al Pil. Eppure abbassare il debito è possibile. Per farla breve e senza entrare troppo nei tecnicismi, esistono fior di studi sulla possibilità di costituire un fondo in cui rientrerebbe il patrimonio pubblico tra immobili, concessioni e partecipazioni. L’obiettivo sarebbe valorizzare tali ricchezze e finanziarizzarle per abbattere il nostro mostruoso passivo. Un piano siffatto si svilupperebbe in un arco temporale di 15 anni e farebbe cadere il nostro debito al di sotto del 100% del Pil (oggi viaggiamo verso il 140%).

Tempi tecnici a parte, il solo annuncio della volontà politica di fare una cosa del genere avrebbe effetti benefici immediati. Di tempo purtroppo non ce n’è molto: entro il 20 settembre, infatti, il Governo dovrà presentare all’Europa il Piano strutturale di bilancio a medio termine, che rappresenterà di fatto la base della Manovra. Per avere le idee più chiare occorrerà attendere almeno il 30 agosto, quando si terrà il vertice tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani che, oltre a cercare di distendere i rapporti all’interno della maggioranza in questa fase, sarà l’occasione per fare il punto su quelle che dovranno essere le priorità della prossima legge di Bilancio.

Anche quest’anno manco a dirlo il nodo sarà quello delle risorse. È giusto che l’atteggiamento sui conti pubblici resti prudente, mentre gli ultimi dati autorizzano a pensare che ci sia una spinta sulle entrate per finanziare qualche intervento, a cominciare dalla conferma del taglio del cuneo ai redditi medio-bassi e dall’estensione dei benefici della rimodulazione Irpef fino a 50mila euro. Tuttavia, è necessario che l’Esecutivo ci metta più coraggio, perché limitarsi a confermare le misure esistenti non sembra in grado di dare quella scossa necessaria a far crescere in maniera più decisa l’economia.

Altre risorse il Governo spera di ricavarle dal concordato preventivo biennale: il centrodestra l’ha reso più conveniente e si potrà aderire fino al 31 ottobre. Si guarderà al gettito previsto e si potranno ritoccare le stime tendenziali, ma il rischio è che comunque la coperta resti corta. Serve una Manovra per spingere la crescita. Non per galleggiare.

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