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Accesso a Medicina: la classe dirigente sempre immobile

Lo studente capace e meritevole va verificato sul campo e non sottoposto a selezioni “umilianti” di accesso

Accesso a Medicina: la classe dirigente sempre immobile

Durante i combattimenti, per rallentare lo sbarco degli Alleati a Paestum, la ragazza, come altri, fu gravemente ferita. Fu soccorsa: dal medico condotto del paese, dall’ufficiale medico del campo militare tedesco, da quello del campo americano di Paestum e poi affidata all’Ospedale provinciale; la ragazza, tuttavia, dopo ben quattro anni, ancora non guariva. Il padre andò con lei, per un consulto, da un famoso ortopedico dell’Università di Napoli, con studio in via Duomo: “Professore, quant’è il vostro disturbo?”. E questi: “Per la ragazza che deve subire un intervento chirurgico, solo il costo di un caffè tremila lire. Fatela però ricoverare presso la clinica ortopedica dell’Università di Roma” Il padre: “Ma, caro professore, un caffè al mio paese costa trenta lire!”. Il professore, piccato: “Per questa volta niente, e non fatevi più vedere!”. All’Università di Roma, l’esame di Diritto Costituzionale, a Giurisprudenza, si metteva male per lo studente! Il prof., quasi spazientito: “Ma non mi sai nemmeno dire la differenza tra Costituzione formale e Costituzione materiale: torna fra sei mesi ed evita di rompere l’armonia degli studi!”.

Ho voluto raccontare questi “aneddoti” perché, talvolta, piccoli fatti valgono più di lunghe discussioni accademiche.Infatti, chi ha qualche pratica di cose universitarie sa che tutti gli Atenei hanno una pari autonomia didattica e scientifica, ma la presenza (in essi) delle Facoltà di Medicina e di Giurisprudenza ha un impatto notevole sulla loro organizzazione formativa e sulla possibilità di dedicarsi (con efficacia) alla ricerca e questo per la presenza di un notevole numero di aspiranti dottori, appartenenti, rispettivamente, alla schiera dei seguaci di Ippocrate e di Giustiniano, ossia alla classe dirigente della Sanità pubblica e della Giustizia.

Questa premessa non scandalizzi nessuno, perché, se guardiamo agli avvenimenti di questi ultimi giorni, sia sulla crisi politica della Regione Liguria (legata all’intervento esorbitante della Magistratura), sia sui problemi che investono il nostro Sistema Sanitario, occorre fare qualche riflessione. In verità, a suo tempo, il “Servizio Sanitario” fu salutato come una scelta politica di grande respiro, perché mirava ad assicurare, ad ogni cittadino, una copertura sanitaria di base ed ospedaliera, prescindendo dal proprio reddito personale.

Oggi, purtroppo, questo servizio (delegato alle Regioni), è da tutti criticato perché, salvo casi isolati di buona gestione, fa acqua da tutte le parti. Infatti, per avere (nel presente) un’assistenza sanitaria rapida ed efficiente, devi rivolgerti a strutture para pubbliche e/o private accreditate, che hanno costi elevati, oppure fare “viaggi della speranza” presso regioni lontane dalla propria residenza: a prescindere dalla strada intrapresa, se non hai denaro, non troverai mai un “Barone” generoso, come quello di ottanta anni fa! Le cause che hanno portato alla sfiducia verso il costoso e collaudato Servizio Sanitario sono tante: una, la causa dirompentea mio modesto avviso, è stata la irresponsabile politica di modificare la formazione medica universitaria, introducendo la limitazione dell’accesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, ricorrendo ad espressioni come “numero chiuso o numero programmato”.

Siffatta operazione è stata giustificata con la necessità di porre un rapporto (sostenibile) tra strutture e studenti, per fornire un alto livello di preparazione e per adeguarsi ad alcune Direttive e puntuali Raccomandazioni della Unione Europea, in materia di Diritto di Stabilimento e libera circolazione dei Medici Europei. Tale limitazione, creata con una “regolamentazione secondaria”, non è stata stoppata (sul nascere) dalla Magistratura, forse memore della differenza conclamata tra Costituzione formale e Costituzione materiale, di cui si è parlato in premessa, pur in presenza degli artt. 33 e 34della nostra Carta Costituzionale. Peraltro, detto meccanismo (che grida vendetta) è stato adottato anche per altre professioni Sanitarie e/o di natura tecnica;ovviamente, tale politica era figlia della mancanza di una programmazione nazionale, sulla disponibilità di idonee strutture, attrezzature scientifiche e personale docente e non docente, necessari allo svolgimento dei corsi di laurea di una “Università di massa”.

Infatti, la Legge 910/69 aveva liberalizzato l’accesso all’Università anche a tutti i diplomati degli Istituti e Scuole di istruzione tecnica e professionale, senza modificare, nel contempo, i loro curricula formativi. Detto questo, non si nega che era necessario porre un arginealla Nuova Università, specialmente per la professione del medico chirurgo, vincolato ad esercitare la sua attività solo dopo il superamento di un esame di Stato che attestasse la serietà degli studi ed il possesso degli strumenti culturali, scientifici e pratici di una attività medica protetta anche nei Paesi comunitari. Secondo il lettore, è stata giusta la scelta di utilizzare, in questo caso, prove di accesso, ricorrendo a “quiz”, per conservare gli standard qualificativi della laurea in Medicina e Chirurgia? Via, pure i sassi sanno che siffatta selezione, in base a “quiz multipli” con altri correttivi, lasciano il tempo che trovano e non hanno nulla di rigore scientifico, come, peraltro, confermato dalla bibliografia internazionale più accreditata sull’argomento.

Possiamo domandarci, dopo tanti anni di scelte capricciose che hanno portato ad una carenza di personale medico e sanitarie nelle nostre strutture universitarie ed ospedaliere, sarà possibile invertire tale filosofia, tornando all’antico sistema, pensando che la selezione migliore sia proprio quella che avviene durante il corso di studi medici? A conti fatti, lo studente capace e meritevole va verificato sul campo e non sottoposto a selezioni “umilianti” di accesso che nulla hanno di serio, giovevole, peraltro, solo a chi pensa che istituzioni pubbliche (gravanti, quindi, sul Bilancio statale), debbano restare luoghi di “privilegio sociale e corporativo”. In conclusione, ogni futura riforma, dovrebbe privilegiare le nostre Università, che restano Centri primari di ricerca scientifica e culturale, dove non potrà entrare chiunque, ma solo giovani delle nuove generazioni che vogliono apprendere

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