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l'analisi
30 Agosto 2024 - 09:58
Dacci oggi la nostra lite quotidiana. Miracoli della calura estiva: le opposizioni non si scontrano più. In compenso hanno preso a farlo nella maggioranza. Ultimamente addirittura allo stesso, poco invidiabile ritmo storicamente tenuto dal centrosinistra. Potenza di un quadro politico sostanzialmente immutabile nel breve-medio periodo e degli strascichi del voto europeo di giugno, percepito dalla gran parte degli italiani per quello che è stato: un inutile sondaggio tra i partiti delle rispettive coalizioni.
Fa specie che Pd e M5S riescano a trascorrere due mesi senza attaccarsi neanche una volta al giorno; o che Carlo Calenda e Matteo Renzi riescano ad ignorarsi per settimane, evitando così d’insultarsi; o che addirittura lo stesso leader di Iv si metta a litigare con i suoi perché vuol tornare ad allearsi col Pd che l’aveva espulso come un corpo estraneo. Incredibile. Meno male che ci sono quelli della maggioranza a ricordarci che in fondo la politica italiana non cambia mai: è necessario sempre che qualcuno litighi col proprio vicino.
Se a sinistra hanno decretato una tregua che sembra reggere, nel centrodestra hanno deciso di fare il contrario. Dal redditometro all’autonomia differenziata, dall’Europa alle carceri, dalla cittadinanza ai figli degli immigrati alle nomine, nella maggioranza si moltiplicano i motivi di attrito e frizione. I toni si sono talmente alzati al punto che il vicepremier, Antonio Tajani, l’altro giorno ha sentito il dovere di rassicurare che «il Governo non rischia il voto anticipato». Come se qualcuno ci avesse creduto anche solo per un momento.
D’accordo, in gran parte si tratta di una situazione fisiologica, tipica di tutti i governi di coalizione. Tuttavia, l’impressione che l’Esecutivo stia vivendo una fase di galleggiamento e chiacchiere vuote, quando invece bisognerebbe spingere forte su riforme ed economia, è palpabile. Che ciò accada con alle porte una Manovra economica da varare che rischia di limitarsi a confermare interventi che sono già in vigore, magari con un allargamento delle fasce di reddito per la riduzione fiscale sull’Irpef, non è confortante. Invece di litigare su cose tutto sommato inutili, occorreva anticipare subito la strategia autunnale. In questo quadro, tra Tajani e Salvini possono volare gli stracci ormai con cadenza pressoché quotidiana perché tutti sono convinti che nessun terremoto politico possa accadere.
Eppure è bastato il tintinnare di un ipotetico avviso di garanzia alla sorella della premier per ricordare a tutti la fragilità della politica al cospetto dello strapotere giudiziario. Un problema che solo una radicale e profonda riforma della giustizia potrà risolvere. Ecco, magari sarebbe il caso di accapigliarsi su questo più che su altro. È vero che Meloni, Tajani e Salvini cercano di tirare acqua al loro mulino pestandosi spesso i piedi, consapevoli però dell’assoluta stabilità della maggioranza e dell’Esecutivo, tuttavia sarebbe opportuno che nel corso del vertice che terrà oggi con gli altri leader della maggioranza, la premier richiami tutti all’ordine.
Perché i problemi sono tanti e tutti molto seri. Insomma, rimettetevi al lavoro. Di contro, la quiete nel centrosinistra prosegue. In fondo appena due mesi fa l’ex avvocato del popolo metteva in forse addirittura la moralità degli inquilini del Nazareno, a Bari come in Basilicata, al punto che finanche la benevola Elly Schlein aveva sbottato con un «non prendiamo lezioni di moralità». Sembrava l’inizio dello showdown dal quale non si torna più indietro. Invece poi tutto si è fermato. Come se perfino da quelle parti avessero capito che la misura era colma anche per il loro elettorato. Almeno di quello che alle urne ancora decide di andarci. Sarebbe bene che ne prendessero atto anche nel centrodestra. La verità è che la litigiosità è come la propaganda: una modica quantità è tollerabile dagli elettori. Oltre stanca. E stufa.
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