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la riflessione

La verità su Napoli in un saggio dimenticato

Un pacato processo ad un passato amministrativo di Napoli, risalente agli opachi anni Ottanta della ricostruzione

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Una veduta di Napoli dalle Rampe di Sant'Antonio

Le libere letture di tipica “vacatio” estiva, dettate solo dalla voglia di leggere, né programmate, spesso riservano interessanti sorprese. Giorni addietro mi è capitato di verificarlo mentre cercavo di mettere ordine in una mini personale biblioteca delle vacanze che conservo in un piccolo borgo estivo del Cilento. La sorpresa è stata duplice, oltre a farmi recuperare un importante libro acquistato anni fa e da tempo perso di vista, mi ha dato una preziosa opportunità di rileggerlo e trovare addirittura il contenuto più attuale di quanto ne ricordavo rispetto a talune vicende amministrative napoletane.

Il titolo del libro è: “Napoli una transizione difficile”, il sottotitolo: “Andrea Geremicca ne discute con Percy Allum, Mauro Calise, Piero Craveri, Mariano D’Antonio, Biagio De Giovanni e Gerardo Ragone”. Si parla di discussione ma essa, stimolata da un prestigioso intellettuale come Andrea Geremicca, purtroppo scomparso tredici anni fa, diventa un pacato processo ad un passato amministrativo di Napoli, risalente agli opachi anni ottanta della ricostruzione e dei commissari con giudizi sferzanti, da fuoco amico, anche sulla sinistra al potere, e ponendosi, allo stesso tempo, come suggeritore delle più convenienti e opportune opzioni contro la congestione urbana all’origine delle numerose insostenibili criticità urbane.

E così partendo da questa constatazione si elencano con severità le ragioni inconcepibili di una chiusura e ostilità a ogni visione di profilo metropolitano. A riguardo giova riportare i moniti più frequenti: “È illusorio pensare di riqualificare e modernizzare Napoli al suo interno lasciando al proprio destino tutto il resto di questa area. E ancora: Napoli dovrebbe aprirsi ma è sempre chiusa in sé stessa. Di una dimensione sovracomunale non vi è traccia da nessuna parte”. Tutto ciò e altro ancora, detto da Sinistra e alla Sinistra che governa la città da oltre trent’anni, che non solo non vuol sentire ma ha fatto e continua a fare l’opposto, come fece Bassolino, varando un piano regolatore napolicentrico che accentuava e continua a accentuare la congestione. Totalmente ignorata dagli ultimi sindaci, impegnati soltanto a assecondare i consensi con un laissez-faire paralizzante il centro storico e rendendo la vita impossibile.

Simili indicazioni emerse da studi e da approfondimenti dei singoli studiosi interlocutori di questa discussione, invece di farli diventare successivamente la guida per uscire da questa sorta di affollamento deleterio sono scivolate come qualcosa di irrilevante mentre avrebbero potuto essere decisive per uno sviluppo ordinato della città. Lo dimostra il fatto che altrove si attrezzavano per decentramenti ritenuti indispensabili per fronteggiare ingorghi e la crescente e preoccupante invivibilità. Molti si chiedono perché di fronte a tante indicazioni che andavano nella direzione più giusta e di valore avveniristico, ci si sia intestarditi a non adottare queste soluzioni.

Se ci fossero state a monte progettualità errate, si sarebbero potute anche capire ma sconcerta dover prendere atto, anche dalla lettura di questo saggio, che la visione metropolitana è stata scartata perché confligge con il protagonismo del neomunicipalismo dei sindaci carismatici che non hanno avuto altri orizzonti se non quello dei consensi del proprio territorio. Purtroppo questi errori si scontano giorno dopo giorno constatando la impotenza di una città che cerca di fronteggiare ilsoffocamento con provvedimenti tampone e non si accorge ancora di aver perso anche con l’istituzione della Città Metropolitana le occasioni più giuste per dare una vera svolta modernizzatrice e nel segno di uno sviluppo policentrico alla città.

Non possiamo non ricordare qui dopo quanto appena detto ciò che scrisse Giuseppe De Rita nei mesi che precedettero il G7 del 1994: Napoli non ha quel pulsare di funzioni verso l’esterno che fa le capitali anche piccole. Ha perso la sua tradizionale autoreferenza alta di capitale di uno Stato ma ha conservato una tua autoreferenza bassa, quasi di piccolo sottosistema chiuso in sé stesso: nei suoi cliché abitudinari, nei suoi comportamenti semidevianti e stereotipati, nei suoi guai urbanistici ed umani, nello stesso degrado dei vicoli e delle informi periferie.

Non c’è osmosi con le aree circostanti se non forse per i fenomeni di grande devianza. Napoli ha grandi potenzialità anche nelle funzioni verso l’esterno che fanno le capitali, nella formazione universitaria, nella ricerca e nella finanza, se si riuscisse a mettere a frutto forse potrebbero dare una svolta al suo destino oggi troppo appiattito ai problemi e alla difficoltà interne.

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