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L'analisi

Valditara e nuova didattica: sfide e rischi per il futuro

Il punto di Orazio Abbamonte sulla scuola

Valditara e nuova didattica: sfide e rischi per il futuro

Mentre la pagina politica dei giornali è da settimane sopraffatta dalle vicende della designazione del ministro Raffaele Fitto a candidato-commissario UE, con tutto quello che ad essa si accompagna: detrattori, muscoli di Meloni in Europa, biografie e rapporti personali, ascendenze democristiane, sentimento nazionale e via stucchevolmente dicendo; mentre tutto questo accade, è in corso qualcosa di alquanto più rilevante per il futuro del Paese: il rimodellamento della scuola italiana che ha in corso il ministro Giuseppe Valditara, coadiuvato da una commissione d’esperti presieduta dalla pedagogista Loredana Perla. La riforma dovrebbe condurre alla riformulazione della proposta didattica, in contenuti e forme, dei primi due cicli scolastici. Non è cosa da poco. Anzitutto, perché la scuola costituisce il meccanismo di trasmissione delle acquisizioni che oltre quattromila anni di civiltà sono andati accumulando e perfezionando, nel bene e nel male. Le condizioni disastrose e di burocratizzazione alle quali è ormai ridotto ogni livello d’insegnamento – ed il conseguente avvilimento del ceto docente, dalle scuole primarie alle università – ha creato un tale decadimento, che proprio quel compito di formazione della personacittadino che si compie trasmettendo saperi e soprattutto il modo di muoversi attraverso di essi e grazie ad essi nel mondo, è allo stato del tutto fallito come mostrano all’evidenza le condotte generalizzate di grave inciviltà, costitutive della vita del quotidiano nelle nostre città. Ed a mostrarlo è anche il modestissimo livello medio di quelle che un tempo erano dette le cosiddette élites, vuoi che si guardi alle dirigenze politiche, vuoi che si considerino le università, la magistratura, la dirigenza e le burocrazie più selezionate. Sufficiente ascoltarne gli interventi o scorgerle all’azione, per avvedersi di quanto basso sia lo spirito pubblico e di quanto le espressioni comunemente adoperate non vadano sovente al di là di vuoti e ritriti stereotipi. Un fallimento, quello dell’istruzione, difficile da recuperare, perché quando la catena di trasmissione s’è spezzata – quando ad essere carenti sono la media dei docenti che dovrebbero incaricarsi di trasmettere affectio verso la competenza e la dignità umana che da essa discende – è agevole intendere che manca il modo di recuperare questi preziosissimi custodi dell’insegnamento della civiltà. Ma la riforma della scuola – o almeno l’aggiornamento dei contenuti da proporre ai discenti e del modo in cui farlo – incrocia anche un altro micidiale tema, per l’attualità ed il prossimo futuro: quello cosiddetto dell’integrazione dei numerosissimi emigranti che si sono affacciati al nostro Paese, e che ci sono restati, nella speranza di poter migliorare le proprie condizioni di vita. E difatti il progetto Valditara – a quel che si comprende dalla presidente della commissione di esperti prescelta – si proporrebbe proprio di rafforzare il senso identitario dei giovani, la loro adesione ai valori del Paese. Si tratta d’un tema assai scottante, perché se questa riforma – che proviene da un governo orgogliosamente conservatore – si proponesse di restaurare lo spirito nazionalistico in una direzione che non può non essere ormai confinata ad un irriproducibile passato, probabilmente fallirebbe completamente nei suoi pur nobili scopi. È certamente lodevolissimo far sì che il cittadino si senta tale: che cioè egli avverta come dalla convivenza (più che dall’appartenenza, concetto esso troppo legato a concezioni autoritarie e patriarcali) in una comunità di liberi discendano doveri elevatissimi per la cura del collettivo; che il rispetto delle regole dettate dalle leggi è un assoluto dal quale non può decamparsi; che quando si occupano situazioni di potere, questo va esercitato esclusivamente avendo riguardo alla funzione pubblica per il quale è conferito e dunque nell’interesse altrui e non nel proprio; certamente tutto questo e parecchio altro – in fin dei conti, tutto quanto riconducibile alle categorie del rispetto e della solidarietà – costituisce una finalità di fondamentale rilievo per una società che voglia coltivare un accettabile futuro. Ad un cittadino non formato, corrisponde nella migliore delle ipotesi un vastaso che danneggia con la sua semplice presenza la piacevolezza del vivere comune; nella peggiore – ma niente affatto rara – un delinquente per combattere il quale è necessaria una batteria costosissima e poco produttiva di magistrati, gendarmi, agenti penitenziari, ottimistici rieducatori e via discorrendo. Ed è quanto, in fin dei conti, l’Italia da decenni ha deciso (?) di fare, corrispondendo ad un docente dalla metà ad un quinto della retribuzione d’un magistrato. Dunque, ben venga la riforma Validtara. Ma dei contenuti si dovrebbe essere molto attenti a discuterne pubblicamente: perché il danno sarebbe peggiore delbeneficio, se si pensasse a rafforzare segni identitari – ammesso che ve ne siano effettivamente – ai margini del nazionalismo, dei valori patriottici e familiari (o familistici), in luogo di formare menti aperte, cooperative, partecipative, pronte ad integrarsi e condividere interessi ed obiettivi, totalmente prescindendo da origini territoriali, colori della pelle ed altri consimili, antistorici segni identitari del passato. Dovessi decidere io – grazie a dio così non è – mi sforzerei di sviluppare nei discenti (cerco di farlo da docente) due valori: il senso di responsabilità ed il rispetto delle regole. Che significa porsi il problema delle conseguenze delle proprie azioni, ed avere il culto delle leggi, che equivale a dire assicurare le migliori condizioni per la civile convivenza. Sono temi, questi, alquanto più rilevanti delle peripezie del ministro Fitto e delle prove di forza governative in quel di Bruxelles, perché riguardano il futuro, quello serio e duraturo, non contingenze di quartiere che lasciano più o meno il tempo che trovano, dato che tutti sono sostituibili e sono sostituiti. E però è proprio di questi temi – che richiederebbero ampi dibattiti pubblici per essere fondatamente affrontati – si parla poco o nulla

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