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L'opinione

Andare fino in fondo sul dossieraggio

Andare fino in fondo sul dossieraggio

Il capo della Procura di Perugia, Raffaele Cantone

Peggio del previsto. Dunque non avevamo sbagliato - due settimane fa - a lanciare l’allarme sull’assordante silenzio che per mesi ha circondato l’inchiesta sul presunto  dossieraggio ai danni di politici, imprenditori e vip. Le indagini «non sono affatto concluse», ha fatto sapere il capo della Procura di Perugia, Raffaele Cantone. Anche perché, ha aggiunto, «sono emersi ulteriori episodi di possibili accessi abusivi» alle banche dati e «gravi fatti di inquinamento probatorio», «in grado di danneggiare» le prove.

Accuse pesantissime quelle formulate dal procuratore Cantone, lo stesso che nella sua audizione davanti alla commissione Antimafia lo scorso 7 marzo, aveva detto senza mezzi termini che era stato «scoperchiato un verminaio». Il «verminaio» - è appena il caso di ricordarlo - è costituito dalle migliaia di presunti accessi abusivi al sistema delle Sos (Segnalazioni di operazioni sospette). Ci sarebbe stato chi “spiava” il Governo, politici (soprattutto di centrodestra), calciatori, imprenditori, dirigenti e chi più ne ha più ne metta.

Oltre 3mila pagine di atti relativi all’indagine sono stati appena trasmessi alla commissione Antimafia. Nell’attesa che si capisca qualcosa di più, è chiaro fin d’ora che tutti i motivi di preoccupazione già emersi, alla luce degli ultimi sviluppi sono destinati ad amplificarsi ancora di più. La questione appariva stranamente dimenticata, sepolta, rimossa dalla discussione pubblica. Una sinistra solitamente sempre pronta a tuffarsi con voracità in vicende che evocano possibili comportamenti deviati di apparati dello Stato e suoi singoli servitori, stavolta ha fatto di tutto per silenziare e sopire lo scandalo.

Anche il centrodestra, dopo un’iniziale reazione dura e indignata rispetto a ciò che andava man mano emergendo, aveva lasciato cadere la questione, non ponendola più all’attenzione del dibattito. Come mai? Questa vicenda, invece, conferma e dimostra l’estrema vulnerabilità sul piano informatico del sistema giudiziario italiano, ponendo una questione che finora è rimasta inevasa: è giusto proteggere le nostre banche dati dagli attacchi esterni, a maggior ragione di banche dati così riservate e connettenti informazioni della massima delicatezza; tuttavia, poco si ragiona sulla vulnerabilità che questi archivi riservatissimi presentano rispetto ai possibili attacchi che possono provenire dall’interno del sistema.

Si tratta di argomenti che non dovrebbero avere bandiere di partito, ma interessare tutti. Ne va della credibilità delle nostre istituzioni, visto che stiamo parlando di uno strumento essenziale per la lotta alla mafia e al terrorismo. È necessario capire perché e per conto di chi siano stati compiuti migliaia di accessi abusivi. Occorre fare chiarezza.

La Procura farà quello che deve fare, ma il Parlamento dovrà andare fino in fondo nella massima trasparenza, perché un presidio di legalità come la Procura nazionale Antimafia, non può essere al centro di sospetti così gravi. Va scongiurato il rischio che anche questa (brutta) storia termini come altre che alla fine non hanno portato ad alcun accertamento definitivo, ma ad una complessiva delegittimazione delle istituzioni e dell’operato dei tanti che ci lavorano onestamente. Buttando così il bambino con l’acqua sporca.

Di fronte a questo scandalo dai contorni in gran parte ancora oscuri, è vietato fare gli struzzi. Mettere la testa sotto la sabbia sarebbe gravissimo. Ciò che emerge è l’esistenza di un mercato delle informazioni riservate: è solo il frutto di abusi fatti a titolo personale o ci sono dei mandanti ancora nell’ombra? Sappiamo tutto del gossip che coinvolge un ministro, non sappiamo nulla di una vicenda mille volte più grave come questa.

Era urgente prima e lo è a maggior ragione adesso, che il Guardasigilli svolga un’informativa in Parlamento. Gli italiani hanno il diritto di sapere se qualcuno ha cercato, o sta ancora cercando, di condizionare la vita pubblica. E se sì perché, per conto di chi e in quale direzione. Una democrazia si distingue anche per questo.

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