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14 Settembre 2024 - 10:18
Ritorno sull’inatteso assist del Governatore Vincenzo De Luca al suo partito, per farlo uscire dall’impasse in merito alla questione della nomina del nuovo Commissario Europeo per l’Italia. È un passaggio di grande significato per le scelte che ci attendono a Bruxelles. Il Governatore ha risposto senza esitazioni alle sollecitazioni di Claudio Cerasa sulla questione Fitto. Il Presidente campano ha sgomberato il campo da ogni dubbio, sottolineando l’importanza di essere uniti in Europa. Nessuna incertezza sul voto favorevole al designato Commissario Europeo, Raffaele Fitto, purchè esprima chiaramente, nel proprio programma, la consapevolezza di essere il commissario italiano e non di una parte e connoti la propria visione della politica di coesione, impegnandosi per i Sud d’Europa.
Segnale importante, soprattutto perché proviene da chi in questi due anni ha ingaggiato un forte scontro con il ministro della Coesione italiano. E’ la scossa che serve per riportare alla realtà della dimensione sovranazionale chi tentenna. Nell’Unione ci si sta come Stato e in quella sede non si portano i conflitti interni. Dal 2004, anno dell’allargamento dell’Unione Europea a Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro e Malta, la composizione della Commissione è stata ridefinita. A prevedere la diversa struttura, in vista dell’allora imminente ingresso dei 10 nuovi stati, è stato il Trattato di Nizza, entrato in vigore il 1 gennaio 2003.
La decisione di attribuire a ciascuno Stato membro un unico componente, indipendentemente dal peso della popolazione, è nata dall’esigenza di non sovraffollare l’organo esecutivo e, soprattutto, dalla speranza di promuovere una maggiore integrazione. L’Italia, che aveva diritto a due rappresentanti, ha, dunque, perso la doppia presenza. La possibilità, fino ad allora sperimentata, di esprimere due indicazioni, cosa che consentiva di dare spazio a maggioranza e minoranza, non é stata più garantita. Il paese ha dovuto e deve riconoscersi in una scelta unitaria. Questo ha indotto un processo di responsabilizzazione politica.
Da allora l’indicazione proviene dal Governo in carica, il quale è chiamato a operare, con gli strumenti della diplomazia istituzionale, scegliendo una figura che incontri il consenso del paese. La nuova procedura è stata inaugurata dal Governo Berlusconi, con il Commissario Frattini, e poi con il Commissario Tajani. Nel 2014 è toccato al Presidente in carica, Matteo Renzi, indicare la Mogherini e nel 2019 al Conte II, scegliere il Commissario in carica, Gentiloni. Quattro momenti diversi nell’arco di 20 anni. Ma sembrano passate ere geologiche. A Bruxelles non si sono consumati distinguo. Sia a destra che a sinistra, ha prevalso sempre lo spirito italico, senza se e senza ma. Il governo Meloni ha indicato l’attuale Ministro Raffaele Fitto, il cui significativo curriculum politico ha prodotto reazioni favorevoli in molti ambienti europei. La scelta esprime il prestigio che il ruolo richiede.
Ma la sinistra italiana è perplessa e non si pronuncia, per quell’insensato modo di opporsi al governo in carica che travolge ogni cosa. Il timore è che dire si a Fitto vorrebbe dire riconoscere che la Premier ha vinto la sua battaglia. Non c’è bisogno di volare troppo alto per rendersi conto che appoggiare Raffaele Fitto, sul quale, come detto, non ci possono essere obiezioni di merito, sarebbe, invece, un risultato per l’Italia intera e non del Governo. Anche solo una titubanza aprirebbe il varco alle ambizione di altri paesi sulle deleghe immaginate per l’Italia, come la Francia o la Germania, e rafforzerebbe la fronda verde, che comprensibilmente non vede di buon occhio la possibilità che a noi venga data una vicepresidenza esecutiva, non avendo il nostro Governo votato a favore del programma della Presidente Von der Leyen, perché quest’ultima ha deciso di cedere all’abbraccio ambientalista, facendo retromarcia sulla iniziale proposta di rivedere il Green Deal.
Queste sono dinamiche alle quali nessuno nel nostro Paese dovrebbe prestare il fianco. La politica visionaria dovrebbe guardare all’opportunità, che la vicepresidenza esecutiva ci offre, di essere protagonisti delle scelte importanti che si consumeranno a Bruxelles sulle nostre teste. Non va dimenticato che quella che si apre è la legislatura del nuovo patto di stabilità, del completamento del Next Generation Eu e della sua auspicata riproposizione e della riforma dei Trattati. Pensare di contare in questo scenario per aver votato a favore della Presidente della Commissione non è sensato.
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