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l'analisi

Quel monito di Compagna sul critico bacino del Po

La lungimiranza di un acuto meridionalista e grande italiano

Quel monito di Compagna sul critico bacino del Po

Nel premettere subito che è il tempo dei fatti e non dei litigi, cioè di totale solidarietà alle popolazioni colpite da una serie di ricorrenti e recenti calamità naturali, con disastrose alluvioni, in questa circostanza sentiamo di dover ricordare la lungimiranza di un acuto meridionalista e grande italiano Francesco Compagna, sostenitore irriducibile della indispensabilità di una seria politica delle acque “per la difesa, la ricchezza dei territori, gli equilibri dell’ecosistema”. Che ebbe e trovò la sua più naturale e ideale platea promozionale in un significativo discorso, pronunciato il 18 aprile 1975 a Salerno, nel corso del XXII Congresso Geografico Italiano, in cui vennero illustrati i progetti speciali al Sud su “difesa del suolo e difesa idraulica”, già considerati indispensabilinegli studi dei grandi riformatori napoletani del ‘700.

In quegli anni, contemporaneamente al varo delle Regioni, avvenuto nel 1970, e quindi ancora in rodaggio, cominciarono già a montareuna serie di critiche ai neo organismi regionali. troppo “accentratori”, l’opposto dei fini per cui erano nati. Tra i primi ad avanzarle fu Compagna, a dolersi in particolare di uno strisciante“pan regionalismo”, un termine da lui coniato, per condannare un vizio, che “sembrò accentuarsi, diventare un carattere degenerativo, sempre più allarmante della fisionomia stessa che, crescendo, le Regioni andavano assumendo”. Se tutto ciò allora era soltanto paventato, in seguito si andò oltre per una serie dirivendicazioni regionali, in contrapposizione allo Stato.

Con più di qualche pretesa azzardata, come quella sostenuta in una lontana intervista alla “Stampa” di Torino, dal Presidente della Regione dell’Emilia Romagna, Guido Fanti, figura storica del Pci, quando lanciò l’idea di un’alleanza operativa fra le cinque regioni della Valle padana. Sintomo di una “decomposizione della realtà nazionale” addirittura beffarda, non avendo escluso i promotori di tale disegno la opportunità che, alla fine, ognuno potesse andareper conto suo: il Sud verso un destino Mediterraneo e La Padania verso un avvenire europeo. Cosa che destò sconcerto in Francesco Compagna, il quale richiamando l’attenzione sulle vere, oggettive priorità del Paese, cioè le fragilità genetiche di troppi territori a rischio, gli rispose pacatamente, che meglio sarebbe stato proporre: “Una conferenza di interesse interregionale per i problemi di bacinodel Po”.

Intendendo con questo riferirsi alla urgenza dell’assetto complessivo di molti borghi, città, abitati sparsi e prossimi a aree fluviali e di corsi torrentizi nelle regioni come la Romagna e tante altre confinanti espose a frequenti disastri. In questi giorni spesso si è sentito parlare giustamente dei cambiamenti climatici, ma, nel sentirli, si è avuta anche la sensazione che li si evocasse con insistenza più per accamparealibi rispetto a diffuse negligenze istituzionali e non solo istituzionali, che a preoccuparsene sul serio, per accelerare possibili rimedi. Le frane censite sul territorio nazionale sono oltre 621 mila , circa il 66% di quelle rilevate complessi mante in Europa.

In tutto ciò che si è detto e tanto, si è purtroppo tralasciata di dire la cosa più importante, sfuggita anche alle “sentinelle dell’ambiente”, da Bonelli a Toninelli , che il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il Pnacc, è rimasto in bozza dal 2018, da quando era presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, e poi, in seguito del tutto ignorato da Conte. Che, si sa, non seppericostruire la Protezione Civile, smantellata da Monti e commissariata da Renzi. Tornando quindi al “Piano” sospeso, al documento attraverso il quale si pianificano le strategie e gli interventi necessari a mitigare e a provare a gestire con il minimo danno eventi del genere, bisogna essere subito operativi, non si può perdere altro tempo. Enormi sono le responsabilità delle Regioni, le cui gestioni più accentratrici dei governi centrali furono già preconizzate e temute da De Gasperi, al quale non dispiacque il loro varo il più tardi possibile, rispetto a quanto stabilito dalla Costituzione, e il tempo ha dato ragione al grande statista, che ricostruì il nostro Paese.

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