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Il Totem, l’arte moderna e il fascino dell’ironia

Alzi la mano chi, fino a due settimane fa, conosceva il designer Gaetano Pesce, le sue opere dissacranti, le sue statue votive

Il Totem, l’arte moderna e il fascino dell’ironia

L'opera di Gaetano Pesce in piazza Municipio

Alzi la mano chi, fino a due settimane fa, conosceva il designer Gaetano Pesce, le sue opere dissacranti, le sue statue votive. Sicuramente, un drappello di architetti, qualche arredatore, un manipolo di appassionati del settore. Napoli, oggettivamente, lo ignorava.

Poi è arrivato il Totem di piazza Municipio e la fama ed il dibattito sono improvvisamente esplosi. Gaetano Pesce, attenzione, non è assolutamente un carneade. Ha rappresentato per il design italiano un punto di riferimento internazionale preciso, ha vissuto per lunghi anni a New York costruendo la sua personalità attraverso un costante attivismo creativo, ha esposto nei più grandi musei del mondo: il Moma e il Metropolitan Museum of Art di New York , il Victoria ed Albert Museum di Londra, solo per citare i maggiori.

Ed è stato anche scultore attento, appassionato, provocatorio attraverso lunghi anni di sperimentazione. Insomma, Pesce è una figura artistica di alto livello, di straordinario profilo che ci ha lasciato solo da pochi mesi. Il suo omaggio a Pulcinella, in effetti, quello che qualcuno indica come il suo testamento spirituale, aveva un diverso appeal, un vestito fatto di bottoni ordinati, in fila indiana, un bavero largamente aperto, facilmente riconoscibile, un lungo camicione bianco che si dilata a contatto col suolo. Una scultura quasi piacevole nella sua dinamica.

A piazza Municipio è arrivata però una riedizione, una riproposizione, qualcosa di assolutamente diverso che si presta largamente al gusto dell’ ironia e della dissacrazione. Chi e perché abbia voluto demistificare la scultura di Pesce resta ancora un mistero. Ma c’è un tema di più largo respiro. Dopo l’incendio della “ Venere degli stracci” di Pistoletto e le polemiche legate a “Tu si ‘na cosa grande“ c’è sinceramente da riflettere sul rapporto tra Napoli e l’Arte Moderna. Si avverte, alla luce degli ultimi mesi, un disagio, una conflittualità, un imbarazzo mai respirati prima.

Qualcuno ha riportato a galla gli anni di Antonio Bassolino, la piazza del Plebiscito che diventava teatro dell’Arte Contemporanea, nulla di più sbagliato. Quelle installazioni si aprivano a spazi giocosi e straordinari. La “Montagna di sale” di Paladino fu una festa che durò per settimane, come i teschi di Rebecca Horn ed i mobili sospesi di Jannis Kounellis erano brani contemporanei che destavano stupore e meraviglia.

Strutture che, anche attraverso sapienti giochi di luce, arredavano coreograficamente quella piazza. La rivisitazione del Pulcinella di Gaetano Pesce non arreda, non impone la sua presenza e, sinceramente, non scalda i cuori. Con un certo imbarazzo gli intellettuali napoletani si sono schierati quasi totalmente sulla trincea del Totem, limitando voci dissonanti. E la polemica è, quindi, divenuta social, semplicemente popolare, figlia di una città che conosce ancora il gusto e il fascino dell’ironia. 

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