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Netanyahu, ora applausi dopo le critiche. E domani?

Scrivemmo che la pace passa per Teheran, oggi più che mai

Netanyahu: i dubbi sulla bomba iraniana

Benjamin Netanyahu

Con disinvoltura addirittura sfacciata un boato di applausi ha scosso l’Occidente che fino all’altro ieri sommergeva di critiche Benjamin Netanyahu. L’eliminazione di Yahya Sinwar ha fatto calare immediatamente un sipario che subito dopo è stato sollevato presentando uno scenario capovolto: volti raggianti, parole che rimandavano la eco di quelle del premier israeliano, prospettive di negoziati di pace disegnate su uno schermo cinemascope. Durerà se la teocrazia fanatica che opprime l’Iran riterrà opportuno tirare i fili con cui muove le marionette – Hamas, Hezbollah, houti… per prendere fiato nella sua sfida mortale con Israele. Il rilascio o l’eliminazione di ostaggi il probabile segnale. Scrivemmo che la pace passa per Teheran, oggi più che mai: o accetterà di ‘subire’ un compromesso o punterà su un rovesciamento del consenso di cui gode in patria Netanyahu. Ieri Israele festeggiava: a Gaza la “testa del serpente è stata schiacciata”.

Ma l’Idra le recupera,il mostro si rigenera. Pure la determinazione israeliana: la vendetta è inesorabile, di là dalle scadenze. E a testimoniarlo ancora, il conto pagato da Sinwar, sebbene non ripaghi il costo terribile di sangue e devastazioni che da un anno subiscono i suoi connazionali. L’uccisione di Sinwar è avvenuta “a poche centinaia di metri dal punto in cui ad agosto erano stati assassinati sei ostaggi”, hanno rivelato fonti dell’Idf, le forze armate israeliane. Intralciavano la fuga del pianificatore del massacro di 1200 ebrei. L’altro ieri a terminare è stata la sua fuga.L’Idf spiega che “probabilmente tentava di raggiungere zone più sicure, verso nord, muovendosi nei tunnel che collegavano (fondamenta e scantinati di) condomini e case…fuggiva ma lo abbiamo raggiunto ed eliminato”.

Erano divenuti tutti docenti della Scuola dell’Alta Strategia Mondiale: da Washington a Bruxelles, da Parigi a Berlino e a Londra e a Roma raffiche di ‘direttive’ al primo ministro israeliano su ciò che dovesse fare: smettere di colpire a Gaza e invece negoziare (con chi?); arrestare l’operazione militare in Libano e concordare la pace (con chi?); non colpire i siti nucleari in Iran e neppure centri petroliferi, depositi d’armi e terroristi nascosti in centri abitati (e allora cosa?); non chiedere lo spostamento delle basi Unifil tantomeno la chiusura (per lasciare Hezbollah ampliare sotto il loro naso il reticolo di tunnel sull’esempio di Hamas?) …

E nelle strade d’Occidente sciamavano, assieme agli immigrati islamici, i giovani, nipoti e pronipoti degli “ideologizzati” che negli anni Settanta fagocitarono fino a spegnere i sogni libertari degli anni Sessanta. Sfilavano in strada, allora ritmando “Lenin, Stalin, Mao-TséTung” proprio mentre cominciava l’agonia dell’Unione Sovietica;in Cina si trepidava nell’attesa che Mao morisse per regolare i conti col suo entourage; si moltiplicavano le fughe dai “paradisi comunisti” e da leader sanguinari, autentici mostri in Terra, come Pol Pot carnefice dei cambogiani. Netanyahu è stato una iattura per Israele, perché non crede nella soluzione dei due Stati, come non ci credono i religiosi fanatici di Teheran e le mafie armate che controllano: dall’Iraq allo Yemen, dalla Siria al Libano e a Gaza, nelle metropoli mediorientali e occidentali.

Netanyahu non crede alla pacifica convivenza con i palestinesi e diffida dei vicini, ma come buona parte dei compatrioti, degli stessi palestinesi, degli arabi sunniti che sognano il Califfato o degli sciiti cui il khomeinismo ha terremotato il cervello. Pesa una negativa visione storica millenaria, il ricordo dei conflitti, degli esodi, delle vittime del terrorismo e del fanatismo religioso, dei familiari caduti da un lato e dall’altro… Puntava, il premier israeliano, sul “divide et impera” e ha lasciato che Hamas strappasse Gaza all’Olp e che la mappa della Cisgiordania si trasformasse, per gli insediamenti ebraici, in una ‘pelle di leopardo’. Ma non s’è accorto e non è stato certo il solo che Hamas scavava una città sotterranea per la sua macchina da guerra.

Basi e armi grazie al denaro sottratto al popolo nascoste sotto ospedali, scuole, affollatissimi condominii, ‘al riparo’ di un enorme scudo umano: i concittadini considerati carne da macello. La colpa di Netanyahu è gravissima. Ma qual è la strategia militare alternativa per eliminare Hamas a Gaza, poi Hezbollah in Libano? Nessuno che ne abbia indicata una, una sola credibile. JoeBiden pensa ai voti per Kamala Harris. Emmanuel Macron a sopravvivere saltando da destra a sinistra e viceversa. Il cancelliere Olaf Scholz, prostrato dalle conseguenze del conflitto in Ucraina e impegnato a raggranellare briciole di consenso. Idem per Keir Rodney Starmer premier laburista britannico appena dai primi di luglio e già in caduta libera, dopo il regalo a Mauritius dello strategico arcipelago delle isole Chagos (eredità solo ritardata per l’isola di Garcia con la base militare). Alternative evanescenti.

E Gaza cancellata, ma come tante altre città, in un passato relativamente recente – e per citare le più note Dresda, Hiroshima, Nagasaki… In un’intervista al ‘Figaro’ il premier israeliano ha reagito alla decisione di Emmanuel Macron di interrompere le forniture d’armi a Tel Aviv ricordandogli il valore di Israele, che “considera che i suoi amici in Europa, come la Francia, dovrebbero schierarsi al suo fianco” perché “noi israeliani difendiamo la nostra comune civiltà occidentale in una guerra combattuta su sette fronti contro l’asse iraniana del terrore e nella nostra lotta contro Hamas, contro Hezbollah, contro gli houti, contro il regime iraniano, noi ci battiamo contro genti che odiano tutti i valori che l’Europa difende”. Questo è vero. Resta, però, che Netanyahu non è Yitzhak Rabin. E’ anch’egli prigioniero del passato, ha gli occhi sulla nuca.

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