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L'opinione
22 Ottobre 2024 - 08:52
Vladimir Putin
Vladimir Putin inaugura a Kazan il nuovo summit dei Paesi Brics, dalle iniziali di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Grazie all’adesione di altri Stati, rappresentano la massima area di commercio e cooperazione economica ed utilizzano le monete nazionali in scambi, investimenti e finanziamenti.
Una riunione che si svolge mentre mentre si combatte in Ucraina ed Israele e a poche settimane dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dal cui risultato dipenderà la futura strategia globale della Nato. Un’Alleanza Atlantica cui occorrerebbe aggiungere Allargata. Una terza A, considerati l’ampliamento di fatto agli alleati del Pacifico e l’azione non più meramente difensiva ma pureoffensiva.
E’ il risultato della ‘rottura’ con la Federazione russa da parte di Washington a conclusione di una serie di mandati presidenziali tanto influenzati dai Neocon quanto fallimentari sul piano internazionale. Con l’eccezione dei quattro anni di Donald Trump, nei quali la Nato era precipitata a “uno stato pre-agonico” ma sol perché non aveva nemici nell’area d’influenza dell’ex Unione Sovietica.
L’UE vantava fruttuose relazioni con Mosca, a cominciare da quelle della Germania ‘motore europeo’. E a Kiev si ricucivano le ferite con gli Accordi di Minsk, poi disattesi dagli occidentali, mentre gli ucraini s’apprestavano a scegliere alla testa dello Stato un attore semisconosciuto che prometteva pace e democrazia e che poi, però, ha devastato il Paese con guerra e autoritarismo spinto. In Ucraina la gente ora si dice “esausta”, sfida la repressione e comincia persino a scendere in piazza a protestare contro la guerra.
Ma Volodymyr Zelensky agita i fogli del suo “piano per la vittoria” mentre Joe Biden ed i suoi ispiratori restano sordi e ciechi, convinti che il conflitto renda vieppiù obbediente la Nato e indebolisca la Russia. Ha suscitato rabbia la notizia trapelata circa le sollecitazioni del governo americano al regime di Kiev perchéabbassi da 25 a 18 anni la leva obbligatoria e mobiliti più soldati da inviare al fronte. Rinnova ad alcuni la memoria del ricorso Usaa combattenti stranieri su altri teatri di guerra per risparmiare i propri ragazzi o per riportarli presto a casa.
Stamane in America scorreranno su schermi di cellulari, tablet e tv le immagini di Trump che, grembiule bianco e guanti, serve hamburger e patatine fritte agli automobilisti in un fast-food nei pressi d’una stazione di rifornimento di carburante: pubblicità elettorale rivolta a quanti lo ritengono un borioso milionario. Ma saranno certamente più numerosi gli spazi pubblicitari che, grazie a donazioni da tre a cinque volte superiori a quelle per l’ex presidente, mostreranno l’espressione perennemente ilare della neosessantenne Kamala Harris contagiare i Dem convogliati a un meeting in Pennsylvenia.
Si vota tra quindici giorni. Il Paese è vasto, troppo per oltre un terzo degli americani privi di passaporto o, se l’hanno, disperso in un cassetto, mai un timbro, né un visto. Non pochi stenterebbero a indicare sul mappamondo dov’è una città fuori dagli Usa, addirittura uno Stato estero. Gli affari internazionali contano quando si riflettono sull’economia e se concorrono o meno a gonfiare l’inflazione.
Le urne s’apriranno tra un paio abbondante di settimane ma in alcuni Stati già funziona il voto anticipato. S’accompagna alla proiezione di istituti demoscopici una volta tanto concordi: i sondaggi concordano nella previsione di una vittoria di Trump in tutti gli Stati “decisivi”, cioè in quelli considerati in bilico per l’uno come per l’altro dei candidati.
Il sistema elettorale della repubblica federale statunitense è maggioritario ma riferito agli Stati, che esprimono i‘grandi elettori’ delegati a scegliere l’inquilino della Casa Bianca.Tipp dà sul piano nazionale Trump in vantaggio su Kamala Harris(49% contro il 47%), come l’Atlas Intel (51% e 48%). In Pennsylvenia convengono: 50% all’ex presidente contro il 47% per la vice uscente. I sondaggisti non sempre l’azzeccano, anzi.
Ad esempio, una risata di troppo della ridanciana candidata dell’Asinello - peraltro accusata di ripetere gli stessi discorsi in zone con problematiche differenti e di rubacchiare a destra e a manca concetti e frasi ad effetto – potrebbe rivelarsi pietra tombale sulla corsa presidenziale. Così come un’intemperanza verbale di troppo dell’ex presidente, se non una pallottola che schivi l’orecchio e gli si ficchi nella tempia…
La notizia del fallimento del terzo tentativo di eliminare con una fucilata Donald Trump dalla corsa presidenziale è giunta quasi in contemporanea con quella dei successi del suo più importante sostenitore, il geniale Elon Musk, nell’ultimo capitolo – in ordine cronologico - del suo programma di futura ‘circolazione’ affidata all’Intelligenza artificiale sia nello spazio, sia sulle strade della Terra.
Successi che ci riportano a una America corifea del progresso e modello del pianeta. Gli Stati Uniti che vincevano la sfida del comunismo sovietico e che sconfiggevano l’inaspettato nemico iracheno senza superare la soglia della saggezza. Gli Usa di Ronald Reagan che firmava il primo accordo di riduzione di missili nucleari e scommetteva su Mikhail Gorbaciov e Boris Eltsin. Gli Usa di George Bush - il padre, non il figlio scemo – che puniva l’ex alleato per l’invasione del Kuwait ma mantenendo l’Iraq tra i guardiani dell’espansionismo dei sacerdoti sciiti di Teheran.
La presidenza Trump resta - di là dai dubbi non sciolti - una pausa nella deriva degli Stati Uniti. Perplessità e timori suscitano alcuni suoi propositi, dallo sfruttamento dell’energia fossile, perl’inquinamento derivato dall’estrazione da rocce di scisto bituminoso, all’imposizione di dazi sulle importazioni dall’Europa e alla riduzione della copertura finanziaria dell’ombrello militare Usa nella Nato.
Resta, però, prevalente l’interesse a recuperare il rapporto di collaborazione con la Federazione russa, cioè tra l’Occidente euroatlantico e l’Occidente euro-asiatico, d’importanza primaria per l’Europa. Rassicurerebbe, Trump, il Vecchio Continente con un’apparente ribaltamento delle prioritàdell’Alleanza Atlantica, spinta a ritrovare le sue radici strategichein un nuovo ‘containment’ ma dell’espansionismo cinese.
Una Casa Bianca di nuovo con Trump rassicurerebbe anche il mondo arabo. A cominciare dall’Arabia saudita dei Salman padre e figlio, avviata con prudente decisione sulla via del progresso non più solo economico ma anche sociale e civile, tenendo a bada gli zombi del Califfato riemersi dalle tenebre della storia e fronteggiando i funerei apostoli sciiti del fanatismo khomeinista. Insomma, serve una virata al moto del vascello statunitense verso le secche della bassa marea.
Una vittoria di Trump non rassicura sul domani. Una sua sconfitta appare un salto nel buio. Ma questo oggi. Domani chissà… Vi sono dinamiche che sfuggono ai tempi degli inquilini della Casa Bianca. La sfera di cristallo appartiene ai chiromanti. E il futuro potrebbe persino smentire previsioni e diffidenze.
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