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Fecondazione assistita ed irrevocabilità del consenso

È legittima la norma che stabilisce, nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, la irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo?

Fecondazione assistita ed irrevocabilità del consenso

È legittima la norma che stabilisce, nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, la irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo? A vent’anni dall’introduzione della L. 40/2024, una interessante sentenza della Corte costituzionale - la n. 161 del 2023 redatta dal giudice Luca Antonini – si è pronunciata in favore della legittimità della previsione dell’art. 6, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 40 del 2004.

Dopo che la volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia stata espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, la fecondazione dell’ovulo costituisce un evento oltre il quale, dunque, non è più possibile revocarla. Va considerato al riguardo come, dopo aver fatto ricorso alla crioconservazione degli embrioni, la richiesta dell’impianto degli stessi sia possibile non solo a distanza di tempo, ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia, ovvero quando i due coniugi abbiano posto fine alla loro relazione.

La sentenza della Corte è stata originata proprio da un caso concreto di una donna (portato all’attenzione dall’associazione Rete Nazionale forense per il tramite del suo segretario Marianna Corporente), che aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la separazione dal coniuge. Il marito si opponeva - ritirando il consenso precedentemente prestato, ritenendo di non poter essere obbligato a diventare padre.

Il giudice ha quindi sollevato la questione di costituzionalità in riferimento alla suddetta norma, che stabilisce l’irrevocabilità del consenso. La Corte costituzionale si è trovata quindi a dover scegliere quale degli interessi, tra quelli emersi nella fattispecie concreta, fossero maggiormente meritevoli di tutela (della moglie alla maternità, dell’embrione alla nascita, da un lato; del marito alla libertà di autodeterminazione rispetto alla paternità, dall’altro), stante l’impossibilità di soddisfarli tutti, essendo in contrapposizione tra loro.

La sentenza ha concluso che l’irrevocabilità del consenso appare funzionale a salvaguardare interessi preminenti, in particolare quello della donna, che mette a disposizione il proprio corpo, con uno sforzo immane con importanti implicazioni fisiche ed emotive, in funzione della genitorialità; ella trova il primo sollievo appunto nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni.

La donna, che ha reso disponibile se stessa per l’impianto dell’embrione nel proprio utero, alimentando la concreta aspettativa di maternità, si è prestata - sottolinea la sentenza - in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale. La sentenza ha quindi concluso che ove, dunque, si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione, risulta ragionevole la compressione, rispetto alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo.

La sentenza ha tuttavia rimarcato l’esigenza di un intervento del legislatore che fornisca e/o ricerchi una prospettiva nuova tra le contrapposte esigenze. L’argomento è stato trattato dall’associazione Rete Nazionale Forense, osservatorio sulla giustizia in materia di famiglia e minori, nell’ambito di un recente convegno organizzato presso il Tribunale di Napoli. Il diritto si evolve e la giurisprudenza ne registra i casi, indicando nuove prospettive in continua evoluzione

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