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L'opinione
04 Novembre 2024 - 09:52
Continua la scia di sangue per efferati delitti commessi da giovanissimi, come quello di sabato scorso a San Sebastiano al Vesuvio, dove un 17enne colpisce mortalmente al cuore un bravo calciatore 19enne per un futile motivo. Pochi giorni prima, a Piacenza, il raccapricciante omicidio della piccola Aurora, di cui la Procura ritiene responsabile l’ex fidanzato 15enne. Intanto Napoli piange ancora la giovane vita spezzata di Emanuele, 15 anni anche lui, assassinato da bande di coetanei durante uno scontro a fuoco nel centro storico della città, e appena sabato scorso, Giuristi e sociologi individuano spesso, quale presunto rimedio, l’abbassamento dell’età imputabile per questi criminali minorenni. A parere di chi scrive, la “soluzione” proposta va ancora una volta nella direzione sbagliata, la stessa che nei quartieri partenopei di estremo abbandono vede quotidianamente le scuole –perfino quelle di primo grado – trasformarsi in autentici tribunali. Basta considerare i dati diffusi dalle stesse autorità cittadine a fine dello scorso anno scolastico 2023- 2024, quartiere per quartiere. Per fare qualche esempio, nella Quarta Municipalità (San Lorenzo, Vicaria, Poggioreale, Zona Industriale) lo scorso anno ben 58 bambini del territorio (pari all’1,59%) sono stati di fatto “espulsi” dal sistema scolastico delle classi elementari. Nell’Ottava Municipalità il dato è dell’1,14%, nella Settima l’1,17% dei bambini risultano bocciati. Peggio ancora alle scuole medie, dove è la Municipalità 7 (Miano, Secondigliano, San Pietro a Patierno) a registrare più bocciature (6,76%): ciò vale a dire che 130 (centotrenta) ragazzini sono fuori. Dati, questi, sui quali pesa certamente anche l’elevato tasso di abbandono scolastico. Ma perché, dobbiamo allora domandarci, questi bambini abbandonano, oppure odiano talmente la scuola da farsi “espellere”? La verità è che la scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria in primis, quando bocciano un bambino stanno bocciando se stesse, stanno ammettendo un fallimento, stanno offrendo alla città e al mondo la prova che se un’istituzione come la scuola, destinata ad accogliere e a formare, diventa una sorta di spietato tribunale, allora è proprio qui che dobbiamo cominciare a guardare e ad interrogarci, per comprendere dove nasce la malapianta della criminalità giovanile. Nasce dal sentirsi espulsi, nasce dalla implicita consapevolezza in questi ragazzi di essere, già a quell’età, scarti di una società basata sull’eccellenza e sul merito, nasce da una scuola dove sembrano smarrite le indispensabili qualità di ascolto, condivisione dei problemi, perdono. Solo riempiendo le aule di questi valori – nei fatti, non a parole – potremo sperare che la piaga dei minorenni col coltello (o la pistola) in tasca possa cominciare ad essere arginata. Spesso le famiglie sono quello che sono, lo sappiamo, anch’esse divorate da mali atavici verso i quali tutti, comprese molte istituzioni, nutrono spesso sentimenti di autentica rassegnazione. Ma almeno che la scuola, preposta unicamente a questi compiti, inizi davvero a fare la sua parte. Altrimenti, di questo passo, a salvarsi.
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