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lettera al direttore

La democrazia e i “padroni” del nostro tempo

“Io sono io, e voi non siete un c….”

La democrazia e i “padroni” del nostro tempo

Gentile Direttore, non mi cimento a fare una analisi del voto negli Stati Uniti, ammettendo, a differenza di tanti altri, di essere completamente digiuno dei meccanismi, palesi e non palesi, che sono alla base di quella Democrazia, dove non è chiaro chi “governa” veramente, tra Cia, Forze Armate, grandi lobby, a cominciare da quella delle armi, e il presidente eletto. Tornando, invece, agli accadimenti nostrani, mi preme di sottolineare quanto accaduto recentemente tra il Presidente di Stellantis, John Elkann e il Parlamento. Come è noto, il rampollo degli Agnelli non ha accettato l’invito rivoltogli dalle Commissioni Parlamentari delle attività produttive e Industria del Senato e della Camera per discutere del futuro degli insediamenti produttivi di macchine oggi esistenti in Italia.

Si doveva parlare soprattutto del pericolo di licenziamento di migliaia di lavoratori, ma il Presidente ha declinato l’invito, infischiandosi delle Istituzioni, dall’alto, penso, del suo status di ricco sfondato, essendo Amministratore Delegato della Exor N.V., una Società di investimenti a capitale variabile tra cui rientra anche la Ferrari, Cnh Industrial, Iveco Group, Juventus, The Economist Group, ed ora anche il giornale Repubblica, controllato da Exor (fonte Wikipedia). Forbes lo annovera tra i 26 più ricchi d’Italia con un patrimonio netto stimato in più di due miliardi di dollari.

Cosa volete, allora, che un uomo tanto benestante possa capire dei lavoratori con uno stipendio netto di 1.200 euro al mese, in procinto anche di essere licenziati, dopo essere passati ovviamente attraverso la Cassa Integrazione, dove si percepisce l’80% dell’ultimo stipendio o salario, erogato dall’Inps, che, altrettanto ovviamente, si alimenta con gli introiti previdenziali specie a carico dei lavoratori a reddito fisso e dalla fiscalità generale dello Stato: in pratica, dagli stessi cittadini? Tutti hanno gridato all’“affronto” verso le Istituzioni, demandando, come al solito, al governo di turno il compito di dirimere la grave questione del forte ridimensionamento delle attività produttive della vecchia Fiat, che preferisce costruire macchine e sue componentistiche nei Paesi della vecchia Europa dell’Est, dove i costi della manodopera e della tutela sul lavoro sono ancora conquiste da raggiungere.

“Non ho nulla da aggiungere“ a quanto già detto dall’Ad di Stellantis, Carlos Tavares in sede di audizione camerale, ha affermato Elkann. E Tavares non ha chiesto altro che i più volte sperimentati ed erogati, nei 100 anni di esistenza della Fiat, contributi statali per mantenere la produzione in Italia. Ed aveva pure ragione, perché a mia memoria la Fiat fin dal suo sorgere è stata “ aiutata” dallo Stato, con la differenza, però, che gli investimenti erano veramente utilizzati per produrre, quando dall’anno della sua costituzione (1899) e per gran parte del Novecento, fino alla fine degli anni ‘80 fu la più grande industria automobilistica d’Europa, terza nel mondo.

Ma stiamo parlando della conduzione della grande fabbrica per mano del vecchio Giovanni Agnelli e di Vittorio Valletta, nominato da Saragat senatore a vita per i suoi meriti imprenditoriali. Oggi, invece, assistiamo, impotenti, a comportamenti arroganti, che portano alla memoria il bel film di Sordi, “il Marchese del Grillo”, dove il protagonista di fronte ad una folla di povera gente esclama: “Io sono io, e voi non siete un c….”. D’altronde, credo che sia un fattore genetico quello dell’arroganza tout court della progenie attuale dei padroni di turno. Ricordate il poco edificante episodio sul treno del capostipite degli Elkan, il grande giornalista e scrittore Alan Elkan, puntualmente riportato da “Repubblica”, di cui gli Elkan, come già detto, sono proprietari? Rientra tra i “racconti d’estate”, secondo il giornale. Comunque, il 23 luglio del 2023 viene pubblicato questo “racconto” con il titolo, che dice già tutto: “Un gruppo di ragazzi poco educati e un signore con i capelli bianchi (Alan Elkan, n.d.r.) che usa carta e penna, legge Proust e i giornali in inglese protagonisti di questo racconto d’Estate di Alan Elkan”.

Chi ne ha voglia, vada a rileggere il “racconto”, si accorgerà della rimarcata differenza che l’autore dell’articolo fa tra la sua eleganza nei modi e nel vestire, rispetto ai tanti giovani “Lanzichenecchi“ che erano sullo stesso treno dove viaggiava l’intellettuale per andare da Roma a Foggia, percorrendo la tratta, che passa, a sua insaputa, anche per Caserta e Benevento. Un racconto così da “radical chic”, da suscitare la dissociazione dello stesso Comitato di redazione di Repubblica.

Perché ho riportato questi episodi, Direttore? L’arroganza e la cosiddetta “puzza al naso” allignano dappertutto nella società di oggi. E proprio all’indomani delle elezioni americane, mi sono sovvenuti alla memoria gli eventi descritti: in quella Nazione, dove c’è certamente una delle più grandi Democrazie, generalmente si viene valutati non per la cultura o l’intelligenza che hai, ma in base ai dollari che guadagni e al capitale che hai. Stiamo per diventare “americani” pure noi, o siamo ancora gli eredi di Platone che aveva abbandonato l’idea della ricchezza materiale, per riscrivere le basi della convivenza umana e condurre l’Uomo alla vera Giustizia?

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