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Murat, quel re di Napoli coraggioso e visionario

Quando arrivò a Napoli ne fu conquistato e pian piano entrò nel ruolo di Sovrano, avendo a cuore il destino del Regno e dei suoi sudditi

Murat, quel re di Napoli coraggioso e visionario

La statua di Murat sulla facciata di Palazzo reale

Quando arrivò a Napoli ne fu conquistato e pian piano entrò nel ruolo di Sovrano, avendo a cuore il destino del Regno e dei suoi sudditi. Ai napoletani piacque per il suo carattere esuberante, per la grande capacità lavorativa e anche per quel suo mostrarsi sempre in uniformi scintillanti, curatissimo non solo nell’abbigliamento, ma anche nella persona.

Gioacchino Murat teneva molto all’immagine: una maniera di apparire che coinvolse anche i suoi ufficiali, tutti eleganti nelle loro sgargianti divise, ma per lo più privi di mezzi economici, tanto che a Napoli c’è un modo di dire che li ricorda: “’E surdate ‘e Giacchino: pezziente e fantasiuse”. Egli si sentiva veramente Re e cercò di non francesizzare troppo il suo Regno, circondandosi di persone di fiducia anche napoletane.

Fra le leggi che introdusse fu rivoluzionaria quella sul divorzio, che portò al conflitto con la Chiesa, ma pochi vi fecero ricorso perché temevano di essere messi all’indice dalla generale opinione pubblica di osservanza cattolica. Dedicò una particolare attenzione alla Capitale del Regno: decise di modificare l’aspetto del Largo di Palazzo abbattendo vecchie costruzioni e chiese, edificando il Palazzo della Foresteria (oggi Prefettura) che faceva da”pendant” al palazzo quasi identico che sta dall’altro lato della piazza (palazzo Salerno).

Vicino alla Foresteria fece costruire un’altra piazza, lo slargo intitolato a sua moglie Carolina, tuttora esistente. La sua idea era quella di creare un grande emiciclo, uno spazio grandioso dove svolgere cerimonie e feste solenni che doveva chiamarsi Foro Gioacchino, ma il progetto rimase in buona parte incompiuto, per l’incalzare delle vicende belliche. Assunse altre importanti iniziative, fra le quali il prolungamento fino a Marechiaro di Via Posillipoche arrivava allora solo fino a Palazzo Donn’Anna. Dette inizio ai lavori dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte, creò l’Orto botanico, istituì la Facoltà di Agraria, portò, secondo i dettami del Codice napoleonico, il Cimitero fuori città, a Poggioreale.

Si preoccupò molto dell’istruzione e, alla luce dell’importanza che aveva assunto nei secoli l’Università di Napoli, decretò la soppressione dell’antica ecelebre Scuola Medica Salernitana. Preoccupandosi dei malati, fondò ad Aversa la Casa dei Matti, un ospedale dove i malati psichiatrici potessero essere seguiti da personale addetto. Fondò, inoltre, la “Scuola di applicazione in Ingegneria di ponti e strade” che più tardi avrebbe dato vita alla Facoltà di Ingegneria.

Si preoccupò anche dei trovatelli e infatti decretò che a tutti i bambini abbandonati presso gli Istituti non venisse più dato il cognome Esposito, ritenendolo un peso che avrebbe accompagnato la persona nella vita, per cui suggerì di dare ai figli di genitori sconosciuti un cognome che ricordasse il mese in cui era stato trovato il bimbo o il nome del santo di quel giorno o una qualsivoglia caratterizzazione di fantasia.Merito di Murat e particolarmente della moglie Carolina fu poi il grandissimo impulso dato agli scavi archeologici di Pompei Fu un Re amatissimo, tanto che a Torre Annunziata decisero nel 1810 di cambiare nome alla città e di chiamarla, addirittura, Gioacchinopoli.

Seppur impegnato a modernizzare il Regno come Sovrano, Murat restò sempre un soldato e un generale e nel campo militare il suo più grande successo fu la conquista di Capri, occupata dagli inglesi, che era come una pistola puntata contro Napoli. Murat decise di attaccarla e riuscì a conquistare l’isola, governata dal tenente colonnello Lowe e munitissima di fortificazioni, dal lato dove gli inglesi non si aspettavano l’attacco e cioè dove la roccia scende diritta a mare, sotto Anacapri.

I soldati di Murat ci riuscirono grazie alle scale ad uncino che utilizzavano i “lampionari” comunali di Napoli: i soldati agganciarono le scale alle rocce, salirono su queste e, una volta arrivati, le tirarono su per riagganciarle di nuovo ad altre rocce per salire più in alto, sorprendendo i difensori. Dopo qualche giorno di combattimento gli Inglesi si arresero. Per uno dei tanti casi strani della storia il colonnello Lowe fu nominato, in seguito,Governatore dell’Isola di Sant’Elena e fu l’implacabile carceriere di Napoleone.

Col passare degli anni Murat si sentì sempre più napoletano al punto da desiderare un Regno totalmente indipendente da Napoleone. Rispose sempre agli ordini del potente cognato quando c’era da combattere, ma, dopo la disastrosa campagna di Russia di Bonaparte, volle giocarsi le proprie carte alleandosi con i nemici di Napoleone, confidando che costoro, in premio, gli avrebbero riconosciuto l’indipendenzadel Regno di Napoli. Ma non andò così: il congresso di Vienna decise il ritorno a Napoli dei Borbone e Gioacchino, dopo aver cercato di difendere il suo Regno, fu sconfitto e costretto a lasciare Napoli.

Più tardi lo illusero che i napoletani volessero il suo ritorno, per cui si imbarcò consoli 250 uomini dalla Corsica verso Napoli, sperando nella sollevazione del popolo: una tempesta lo spinse in Calabria dove fu catturato e fucilato dai borbonici a seguito dell’applicazione degli articoli 87 e 91 del Codice penaleemanato dallo stesso Gioacchino e che non era statoabrogato.

Gli articoli prevedevano la pena di morte per ogni tentativo di “distruggere o cambiare il Governo o l’ordine di successione al trono o anche di incitare i cittadini o gli abitanti ad armarsi contro l’autorità del Re”. C’è ancora oggi un modo di dire tutto napoletano riferito all’episodio: “Giacchino facette ‘a legge e Giacchino fuie ‘mpiso” (in realtà fu fucilato, non impiccato) e cioè:“chi è causa del suo male pianga sé stesso”. Gioacchino venne fucilato a Pizzo, in Calabria, 1l 13 ottobre 1815. Morì da soldato e da eroe. Si racconta che le sue ultime parole, di fronte a un plotone d’esecuzione ammirato dal suo coraggio, furono: “Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!”.

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