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“Parthenope”, un film su Napoli che non ha portata universale

Al di là della bellezza e del senso della vita evocato da alcune scene del film, sono d’accordo con tutte le critiche che il regista muove alla città

Sorrentino replica a don Rapullino: non è un'offesa, la Chiesa è troppo intelligente

Il regista di Parthenope, Paolo Sorrentino

Che il film si rivolga solo alla gente di Napoli e non del mondo,lo testimoniano le critiche negative straniere fuori strada. Fatta eccezione di un importante scrittore francese sul “Figaro”, che conosce bene Napoli, gli altri non hanno capito quasi nulla, tranne che il mare sia bello e che l’affascinante sirena simboleggi la città. A dir la verità, i critici stranieri sono poco interessati alle dinamiche interne di una città di provincia che rifiuta il progresso e mente a sé stessa sin dalla notte dei tempi. In qualità di napoletano, il film mi è piaciuto molto.

Al di là della bellezza e del senso della vita evocato da alcune scene del film, sono d’accordo con tutte le critiche che il regista muove alla città. Ma la sua maniera di esprimerle non si lascia capire facilmente da chi non è di qui. Allo stesso modo della lingua napoletana che la isola anche nel suo piccolo mondo. Ecco le chiavi di lettura per le scene più oscure o stravaganti: L’amore incestuoso tra l’eroina e suo fratello esprime la chiusura di Napoli su sé stessa, ossia il suo provincialismo. Il suicidio del fratello testimonia la tristezza di fondo di Napoli al di là dell’immagine sempre allegra che lei dà di sé per far bella figura con lo straniero.

Allo stesso tempo dichiara che un matrimonio tra classi diverse non può avvenire. Il figlio della governante ha posseduto solo una volta la bella aristocratica presa in un momento di debolezza. Lui non ha altra scelta che emigrare al Nord se vuole emanciparsi e bypassare la gerarchia sociale…. dimenticando l’amore che prova per la bella prediletta dall’uomo più ricco di Napoli. Il coito in pubblico tra due giovanissimi, appartenenti a due famiglie rivali rappresenta la “grande fusione” di due clan camorristici che mettono fine alla lotta per il controllo delle piazze di spaccio. La professoressa di teatro mascherata esprime il primato dell’apparenza sulla verità a Napoli.

Lei nasconde dietro la maschera le sue cicatrici conseguenti ad interventi estetici. E la famosa attrice del cinema internazionale che per una sola serata torna nella sua città d’origine in risposta ad un invito di un grande armatore napoletano esprime a tutti nel suo discorso la sua amarezza miscelata al suo amore per la sua città di nascita. La maledice e la compatisce allo stesso tempo! La scena di sesso tra il vescovo di Napoli in slip rosso e la sirena mitologica, seduta con le gambe aperte vestita unicamente dei gioielli di San Gennaro, il Santo patrono di Napoli, testimonia un sincretismo tra il paganesimo, la chiesa cattolica e la superstizione.

È in queste condizioni che il miracolo avviene. Un altro modo per mantenere il popolo in balia della precarietà a vantaggio del potere! Ma la scena più forte e più scioccante è quella in cui il professore di antropologia svela il segreto della sua scienza a Partenope, divenuta intanto la sua assistente, prima del suo pensionamento. L’antropologia non è solamente lo studio dell’uomo e dei gruppi umani, essa consiste soprattutto nel “vedere ciò che è nascosto”. È proprio quello che viene rifiutato a Napoli dove ci si copre gli occhi per non vedere e ignorare problemi ormai secolari, in modo che nulla cambi. I notabili come il clero, il potere politico e il mondo artistico, come così la stampa locale, tutti si adoperano a che tutto resti immobile e immutato, perché giova ai propri interessi.

Dopo questa professione di fede fatta alla giovane universitaria, il professore le mostra il figlio che tiene nascosto in una stanza isolata del suo appartamento. Un obeso mostruoso sprofondato nella sua poltrona, per metà adulto e metà ragazzo, dal sorriso dolcissimo. Malgrado il suo essere acculturato, il povero professore si è ridotto a prendersi cura di quest’essere deforme che sta a rappresentare Napoli, incapace di uscire dal suo dramma.Partenope gli sorride con compassione e poi lascia la città per realizzarsi a Nord.

A conclusione del mio articolo, consiglio ai miei concittadini di andare a vedere “Partenope” perché è un bel film, che muove critiche giuste sulla nostra città, espresse creativamente. Eppure, è un film a dimensione locale perché le turpitudini del “mondo a parte” di Napoli sono poco comprensibili per l’uomo universale. In particolar modo la scena in cui l’obeso nella sua poltrona dice gentilmente “ciao” quando riceve una visita.

Alcuni amici stranieri hanno visto il film a Cannes durante il festival, ne hanno conservato un ricordo vago di una grande bellezza, ma noi napoletani invece ne conserveremo un ricordo netto e preciso grazie alle scene toccanti che il regista, Paolo Sorrentino, ha inserito nel film per criticare la sua città che ama… ma che ha lasciato anche lui!

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