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IL PUNTO

L'azzardo di Joe Biden, una mazzata sui negoziati

L’Occidente euro-atlantico s’è nuovamente allontanato dall’Occidente euro-asiatico

L'azzardo di Joe Biden, una mazzata sui negoziati

il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden

Borse a picco ieri in Europa per la decisione di Joe Biden di autorizzare l’utilizzo da parte del regime di Kiev dei missili a medio raggio Atacms contro la Federazione russa, nella regione di Kursk. Solo a Bruxelles personaggi stralunati alla guida pro-tempore dell’Unione Europea salutavano l’offerta del presidente uscente - dalla Casa Bianca e di senno - a Volodymyr Zelensky di null’altro che sfidare Vladimir Putin ad agire in coerenza con il proprio precedente avvertimento: “Se la Nato ci colpirà – aveva affermato il presidente russo - reagiremo di conseguenza. Anche con le forze nucleari”. E aveva spiegato che solo il personale militare dell’Alleanza Atlantica “è in grado di manovrare gli Atacms”.

C’è poco da aggiungere se non la speranza che il capo del Cremlino si accontenti di continuare a colpire l’Ucraina con armi ‘convenzionali’ senza ricorrere ad atomiche ‘tattiche’, in attesa che a Washington giunga Donald Trump e si accontenti di quel poco che ormai Mosca può cedere - diciamo pure concedere - sul tavolo di un negoziato. L’Ucraina è distrutta, i folli responsabili di un regime dispotico cercano àncore di salvezza muovendosi su immensi cumuli di morti e di macerie. Che il Paese venga ancor più devastato poco importa, anzi fa comodo a quanti fanno già di conto circa i guadagni della ricostruzione. Decisione rischiosissima ma Biden se n’è pavoneggiato al summit di Rio.

Una decisione, la sua, che invece conduce la memoria a quanto aveva scritto - riportato da ‘Newsweek’ - il tanto vituperato, paradossalmente perché pacifista, premier magiaro Viktor Orbàn. “La Nato si sta avvicinando a un momento spartiacque - aveva sottolineato il presidente di turno del Consiglio dell’UE, in occasione del 75° anniversario della Nato - Vale la pena ricordare che l’alleanza militare di maggior successo nella storia del mondo è iniziata come un progetto di pace e il suo successo futuro dipende dalla sua capacità di mantenere la pace. Ma oggi, invece, l’agenda è la ricerca della guerra. Invece della difesa, è l’offesa. Tutto ciò va contro i valori fondanti della Nato… Oggi sempre più voci all’interno dell’Alleanza Atlantica stanno sostenendo la necessità, o addirittura l’inevitabilità, di uno scontro militare con gli altri centri di potere geopolitico del mondo. Questa percezione di uno scontro inevitabile funziona come una profezia che si autoavvera. Il grande storico Arnold Toynbee sosteneva che ‘le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio’… Dovremmo temere molto il nostro rifiuto dei valori che hanno dato vita alla nostra alleanza. Lo scopo per cui è stata creata la Nato era di garantire la pace nell’interesse di uno sviluppo economico, politico e culturale stabile. L’Alleanza Atlantica realizza il suo scopo quando vince la pace, non la guerra. Se sceglie il conflitto invece della cooperazione, la guerra invece della pace, si suiciderà”.

La decisione di Biden, ritenuto inadatto a partecipare alle presidenziali ma adatto a guidare ancora la massima potenza del mondo, appare tanto più azzardata se si considerino le trattative in corso per giungere a una tregua in Medio Oriente. Il corso di un conflitto influenza l’altro e viceversa. Una pausa in Medio Oriente per tirare il fiato farebbe comodo a tutti, agli Usa, a Israele, all’Iran. A Joe Biden, che ha ereditato, sviluppato e portato fino alla soglia del fuoco nucleare il disastro dell’Ucraina, per spacciare il lascito di una pace (sic!) nella regione più tormentate del pianeta, per ritagliarsi a sipario calante una scorza di merito per il supporto che non ha fatto mancare a Tel Aviv, a dispetto della rumorosa protesta a senso unico dell’ala radical-chic e islamica dei Dem. Servirebbe una tregua a Benjamin Netanyahu per prendere fiato, riempire gli arsenali svuotati dal doppio fronte militare sui quali Israele è impegnato, un duplice scontro ‘tradizionale’ che morde la fanteria e miete i militari di cui Israele non è ricco e deve risparmiare il più possibile. Sarebbe utile alla teocrazia di Teheran per curarsi le ferite provocate dal calcolo sbagliato circa le conseguenze del “massacro d’innocenti” del 7 ottobre dell’anno scorso. Hamas è distrutta, assieme a Gaza e alla sua città sotterranea. Il ricatto sugli ostaggi non ha retto: Netanyahu non ha ceduto. Lo sfratto dal Qatar è stata la pietra tombale sul movimento terrorista. L’elezione di Donald Trump la lapide.

In Libano la resistenza di Hezbollah non nasconde una sconfitta: il movimento è stato decapitato, Israele ha realizzato la fascia di sicurezza di 20 chilometri alla frontiera per permettere il rientro alle loro case dei 60mila sfollati. I bombardamenti, che hanno accompagnato la distruzione di Hamas a Gaza, accelerano in Libano il ritorno sulla scena politica degli sciiti guidati dal sempiterno Nabih Berri e schiudono l’uscio alle trattative. Gli Houti yemeniti non sono riusciti a strozzare la rotta dal Mar Rosso al Mediterraneo ma soltanto a ridimensionarne il traffico. La flotta militare Usa coadiuvata dalle navi degli alleati ha reso sopportabili finora i costi degli attacchi. Ma soprattutto perché Mosca ha fatto mancare istruttori e armi simili a quelle che ora Washington ha promesso al regime di Kiev. La sventagliata di missili e droni su Israele quasi tutti intercettati, la rapida passeggiata dei bombardieri con la stella di David nei cieli iraniani, rivelano che la teocrazia islamica ha armi spuntate, testimoniano quanto miserabile sia la minaccia dell’Iran. E spiega perché il presidente Masoud Pezeshkian, dell’ala moderata del regime al potere a Teheran, abbia colto un paio di settimane fa l’occasione della presenza del capo dell’Agenzia atomica Rafael Grossi per ribadire urbi et orbi che l’Iran “non costruirà mai un’arma atomica”. Il silenzio-assenso di Khamenei n’è apparso il sigillo. Certo, tregua non pace, davvero poco credibile sui tempi lunghi.

La “cancellazione di Israele dalla carta geografica” resta lo scopo ultimo della teocrazia di Teheran. È semplicemente rimandato. L’attacco ai centri nucleari per “schiacciare la testa del serpente” resta l’obiettivo finale di Netanyahu. È solo rinviato. Una pausa, inoltre, potrebbe rivelarsi utilissima per Trump. Punta a riprendere il filo degli Accordi di Abramo tra arabi e israeliani, pure ampliarli all’Iran (ma dipenderà dal… successore di Khamenei). Ma gli permetterebbe prioritariamente di dedicarsi al compromesso sull’Ucraina e al tentativo di recuperare un dialogo con Putin. Tentativo possibile ma quasi disperato dopo quanto è avvenuto in questi ultimi quattro anni: un solco, che la fine della Guerra Fredda aveva riempito, s’è riaperto con straordinari effetti geopolitici, geoeconomici e geostrategici.

L’Occidente euro-atlantico s’è nuovamente allontanato dall’Occidente euro-asiatico, dall’impero russo ridottosi nel 1991: perduti sia l’influenza su buona parte del pianeta; sia il protettorato militare assicurato dal Patto di Varsavia sull’Europa orientale: sia cinque milioni di kmq con la rinuncia al Centro Asia la cui conquista, costata secoli di sangue, placava l’insicurezza delle frontiere; sia poco meno della metà dei suoi abitanti sullo spazio del più esteso Paese multinazionale e multietnico del mondo.

Una tregua consentirebbe a Trump di concentrarsi sulla ricerca di un varco verso una nuova stagione di dialogo con Putin. Traguardo incerto dopo quarantacinque mesi di guerra in Ucraina, l’ulteriore allargamento della Nato, le fortissime sanzioni, la distruzione del Nord Stream assieme alle relazioni commerciali russo-tedesche, il blocco dei notevolissimi depositi russi sulle banche occidentali, i nuovi rapporti strategici tra Mosca e Pechino, Pyongyang e Teheran, l’allargamento dei Brics, le proiezioni russo-cinesi su M.O., Africa e America Latina… Il conflitto in Ucraina ha cambiato il mondo in peggio.

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