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La decisione di Biden e il rischio di escalation

Le premesse sono state poste tutte con cura perché si giunga ad una terza guerra mondiale ed il presidente americano uscente vi ha dato il suo ultimo ma significativo contributo

La decisione di Biden e il rischio di escalation

Il presidente uscente Joe Biden

La decisione del Presidente degli Stati Uniti d’America di autorizzare l’Ucraina a fare uso di armi di penetrazione in territorio russo a fini non più soltanto difensivi ma anche d’attacco – o, almeno, di attacco con scopi difensivi, ma è questione di parole – ha immediatamente prodotto l’effetto, prevedibile e previsto, d’indurre il Presidente Putin ad un’ulteriore escalation nel conflitto in corso ormai da quasi due anni.

Non è certo un effetto auspicabile, quello che si deve registrare e che pone in primo luogo un tema di legittimazione politica, con riguardo al Presidente americano. Questi, com’è ben noto, non solo. Dovette ritirarsi dalla competizione elettorale in corsa per manifesta inadeguatezza dei suoi mezzi neuronali a reggere la tensione d’un dibattito durante il quale diede evidenti segni di stato confusionale: e la domanda che vien fatto di compiere è se, chi non è in rado di mantenere lucidità nel durante una pur accesa conversazione, possa dirsi poi dotato della richiesta fermezza e capacità d’oggettivazione quando si tratti d’assumere decisioni che potrebbero condurre ad una terza guerra mondiale, ad un’ascesa verso l’uso dell’arma atomica e forse – nessuno può saperlo – a mettere fine alla vita dell’uomo sulla terra.

Possibilità, quest’ultima da tutti con spensierata leggerezza scartata – probabilmente in nome del noto ottimismo della ragione – ma che non v’è alcuna seria ragione per escludere, dato che determinati fenomeni non si governano mai a pieno e possono innescarsi al di là delle volontà dei singoli. Ma, al di là della capacità di vedere lucidamente nelle cose del mondo da parte del Presidente John Biden, v’è anche un altro profilo di legittimazione, questa volta politico, che è stato scarsamente evidenziato dai commentatori. Biden, non solo si è ritirato dalla corsa alla presidenza degli Stati Uniti, ma ha visto soccombervi – e soccombervi largamente – la sua vice presidente, la quale avrebbe dovuto far da candidato di scorta e che a dire dei sondaggisti avrebbe avuto anche larghe possibilità di successo. Egli, dunque, è completamente delegittimato sul piano della politica.

Ha, naturalmente, i poteri giuridici per assumere le decisioni che ha preso, ci mancherebbe. Ma appunto di poteri giuridici si tratta, non di contenuti politici, contenuti che non potrebbe trovare nemmeno nel Congresso, a lui ormai largamente ostile. In politica, la legittimazione viene non solo dal momento elettorale, bensì anche soprattutto dalla responsabilità per le scelte che vi si compiono e le conseguenze che esse producono: nel senso che, almeno tendenzialmente, il rappresentante che assume decisioni nell’interesse del corpo elettorale, del paese che governa, della nazione nel cui interesse è tenuto ad agire, dovrebbe poi rispondere degli esiti di quel che fa dinanzi a chi l’ha votato o nelle forme procedurali che sono costituzionalmente previste per la valutazione del suo operato.

Orbene, un presidente che è a circa due mesi dal momento in cui dovrà lasciare il proprio ruolo, avrebbe dovuto quanto meno spiegare le ragioni per le quali – contravvenendo a quanto sino a quel momento era stato il suo credo – ha preso una decisione di segno totalmente opposto, gravida di conseguenze potenzialmente incommensurabili e senza che motivi di assoluta urgenza siano stati addotti a validarla.

Tutto questo, sul piano politico, quello che a queste altezze è l’unico veramente invocabile per giudicare, è assolutamente ingiustificabile. Il Presidente Biden non avrà alcun modo per governare le conseguenze delle proprie decisioni, del proprio revirement in termini di dottrina americana nella guerra in Ucraina: e questo, tra l’altro, indebolisce anche il senso della propria decisione, che potrebbe essere capovolta di qui a qualche settimana. Insomma, si è trattato di una scelta scarsamente comprensibile, ancor meno fondata e largamente priva di legittimazione.

Ma soprattutto una scelta che dà un ulteriore, rilevante contributo all’escalation bellica, in un conflitto che, da quando ha preso avvio, non ha mai visto un momento di tregua o un allentamento della potenza militare impiegata, ma anzi ha dovuto registrare esclusivamente un’ascesa degli scontri e delle risorse utilizzate per renderli più cruenti e devastanti e che da ultimo ha visto anche scendere in campo un’alleanza con la Corea del Nord, altro stato destabilizzatore e peraltro dotato di ordigni nucleari.

E che, per reazione all’ultima decisione di John Biden, ha anche veduto scendere in campo un potentissimo missile, armabile con munizioni convenzionali o con l’atomica, il quale potrebbe raggiungere in una manciata di minuti una qualsiasi metropoli dell’occidente europeo, come distruggere un’intera città ucraina in un batter di ciglia.

E si ricorderà che anche il Putin ha a sua volta mutato la sua dottrina sull’uso dell’atomica, sentendosi autorizzato ad usarla anche a difesa da uno stato che ne sia privo – come l’Ucraina, guarda caso – se però questo stato è assistito, ancora una volta come l’Ucraina, da stati che dell’ordigno fatale dispongano nei rispettivi arsenali. In sostanza, le premesse sono state poste tutte con cura perché, coerentemente procedendo, si giunga ad una terza guerra mondiale ed il presidente americano uscente vi ha dato il suo ultimo ma significativo contributo.

Putin ha dato più volte prova d’avere coerenza e fermezza nei propri propositi; da un po’ troppo se ne sta sottovalutando la capacità di dar seguito alle proprie minacce nucleari, ed io credo sbagliando. E sono confortato (si fa per dire) nel mio giudizio dagli infiniti errori di giudizio che sino ad oggi si sono accumulati sulle sue capacità di conduzione del conflitto e di resistenza alle sanzioni. Spero, ovviamente, di sbagliare questa volta io. 

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