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L'opinione

La sicurezza stradale esige molto, ma molto di più

Perché Rita è diventata un simbolo, un riferimento per tutti noi e un monito forte

In questi giorni si è concluso, con rito abbreviato e con una condanna a otto anni di reclusione, il processo all’uomo che ha travolto e ucciso, in quella tragica notte del maggio di quest’anno, Rita Granata, la ragazza di ventisette anni che tutti ricordiamo e ricorderemo con affetto, con rispetto e con immenso dolore. 

Perché Rita è diventata un simbolo, un riferimento per tutti noi e un monito forte per quella vasta zona grigia delle coscienze che continua a occupare la nostra città quasi come fosse un suo diritto, uno status intangibile, un retaggio insopprimibile, pervasivo e giustificazionista, ammantato di malaffare e di criminalità nella peggiore delle sue varianti e di perbenismo superficiale e inconsistente nella sua variante più diffusa, quella venata di umanitarismo vago e lamentoso e di quel progressismo peloso e fatuo di chi è storicamente abituato a predicare bene e a razzolare male, anzi malissimo.

Rita, con la sua morte prematura e straziante per mano di uno dei tanti pirati della strada si è trasformata, dunque, in un fascio di luce sulle vite ipocrite di questa variegata moltitudine di indifferenti, di ignavi, di protervi e di benpensanti del nulla che abitano la città, ma è anche diventata parte viva e pulsante della memoria quotidiana di quanti sono ancora dotati di capacità raziocinante e di sentimenti solidi, di princìpi veri, di ideali, di punti di riferimento radicati e profondi come le radici di un albero secolare.

Questi ultimi - e non sono pochi - costituiscono la parte sana della città, quella che davvero vive e combatte ogni giorno che Dio ha mandato e che davvero non si arrende e non vuole arrendersi all’ipocrisia e ai bei discorsi di facciata. Queste persone si pongono domande e pretendono risposte. E le domande sono semplici.

Perché la morte di Rita? Perché la morte di tante vittime come lei, stroncate dalla condotta delinquenziale, sulle nostre strade, di individui alla guida di un’auto che agiscono al di fuori delle regole, della legge e di ogni freno inibitorio, totalmente strafottenti e insensibili alle conseguenze possibili dei loro comportamenti delittuosi sulle vite degli altri? Sono vite che contano queste e contano moltissimo.

Le vite spezzate dei troppi innocenti uccisi sulle strade non certo dal caso o dalla fatalità del destino, ma da chi fa consapevolmente un uso improprio e criminale del mezzo di cui è alla guida, sono un tragico e vergognoso oltraggio alla società e alle sue leggi di cui ancora non si coglie tutta la gravità e la pericolosità. Ancora non si ha la piena consapevolezza di quanto importanti siano queste vite per un corpo sociale sanoche sappia essere comunità in grado di difendere i suoi appartenenti da comportamenti che occorre avere il coraggio di definire per quello che sono e cioè violenti, arroganti e banditeschi.

La sicurezza stradale è un diritto di ogni comunità che si rispetti e un dovere al quale ottemperare. Diciamoci come stanno le cose e gridiamolo forte. Non possono esserci delle morti che suscitano scalpore e sdegno tali da meritare, come è giusto che sia, ogni forma di attenzione mediatica, politica e sociale e altre, altrettanto terribili, sulle quali, invece, i riflettori delle coscienze si accendono e si spengono a intermittenza in base a quell’eco suscitato dalla gravità del fatto, ma destinato poi a svanire man mano, con il passare del tempo, perché le luci accese sul momento vengono poi disinvoltamente orientate altrove, là dove il “mainstream” mediatico - speculativo trova, invece, la ragione principale del suo essere costantemente presente,in ossequio a convenienze e interessi troppo spesso di parte.

Per questo, oggi, desideriamo ricordare ancora una volta Rita Granata e la sua bella giovinezza sacrificata in quella notte di maggio e, insieme a lei, ricordiamo le tante, troppe vittime degli omicidi stradali. È una piaga, questa, che deve essere curata drasticamente, potenziando parallelamente il duplice binario della prevenzione e della repressione, senza aver timore di attribuire a queste parole il loro vero e pieno significato perché - ed è bene sottolinearlo ancora una volta - qualsiasi veicolo nelle mani sbagliate di chi non rispetta, sbeffeggia e viola le regole della strada diventa un’arma come tutte le altre, un’arma che uccide.

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