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03 Dicembre 2024 - 10:38
La drammaturgia napoletana del Novecento vive ancora di strane solitudini. C’è il puntuale magistero di Eduardo, la densità linguistica ed espressiva di Raffaele Viviani e gli studi legati alla Nuova Drammaturgia degli anni Ottanta. Il resto sembra coperto da un sostanziale, colpevole silenzio, relegando tanti autori tra le pagine ingiallite del tempo. A 140 anni dalla nascita, ci sembra doveroso, in questo contesto, ricordare Paola Riccora, con un’angolatura speciale, quella dei suoi rapporti con i fratelli De Filippo, un capitolo che segnerà profondamente il teatro italiano.
Paola, al secolo Emilia Vaglio Capriolo, moglie di un avvocato capostipite della Siae, due figli, una tranquilla vita borghese, si trasforma, in pochi anni da angelo del focolare in un’autrice di successo, stimata da Luigi Pirandello e da Matilde Serao, seguita con passione da Ettore Petrolini, Paola Borboni e Dina Galli. Una metamorfosi rapida, assoluta che va anche al di là del suo amore per il teatro. Una evoluzione nata nel 1915. L’Italia era impegnata nella Grande Guerra, il marito venne arruolato nella Croce Rossa, erano tempi difficili. Emilia cercava lavoro e si rivolse ad un suo vecchio amico, Gennaro Aulicino, direttore del Teatro Nuovo di Napoli, che le affidò la traduzione e l’adattamento di alcune “pochade” francesi.
Compito ingrato per chi non è inserito nei meccanismi teatrali ma la Riccora se la cavò con grande abilità, costruendo addirittura una fase nuova tra i conflitti del teatro scarpettiano e quello poetico letterario. Nasce così, in una progressione naturale, un successo che la Riccora coltiva con intelligenza, trasformandosi in un punto di riferimento per decine di compagnie. E nel 1932 sono proprio i fratelli De Filippo che bussano alla porta di donna Paola, in via Carlo Poerio a Napoli. Le chiedono una commedia studiata per loro, capace finalmente di farli uscire da un teatro comico che inizia a mostrare le sue rughe. E la drammaturga li accontenta con un’opera “Sarà stato Giovannino“ che sposta sapientemente gli equilibri dell’intera compagnia.
Una consacrazione assoluta per Eduardo, applausi incondizionati per Peppino e per Titina, debutto al Sannazzaro, a Napoli, il 2 febbraio 1933. Poi, repliche a Torino, Bologna ed al teatro Valle, a Roma. Fragoroso il consenso della critica. Si stabilisce così tra Eduardo e la Riccora un rapporto intenso e delicato, riverente e apparentemente timido. In pochi anni, l’autrice cambia la vita di Eduardo e della sua compagnia, aprendo squarci teatrali che erano sicuramente dentro l’arte del drammaturgo ma difficilmente sarebbero emersi.
E quel nuovo teatro, ricco di forme comiche e dolorose, corredato da lievi sfumature di drammaticità, segnerà il nuovo percorso dei De Filippo. Sigillato da una critica sempre più tagliente verso la sfrontata borghesia dell’epoca.
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