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L'intervento
05 Dicembre 2024 - 09:18
La scena del film “Così parlò Bellavista” in cui la figlia del Professore va proprio dall’Assistito
A Napoli il gioco del lotto arrivò a fine ‘600, in epoca vicereale ed ebbe subito un grande successo popolare tra la gente che sognava di risolvere i suoi problemi con una vincita. Ma con l’arrivo di Carlo III di Borbone, a metà del ‘700, il gioco venne proibito perché la visione “illuminata” del sovrano mal si conciliava con quell’importanza esasperata e ossessiva che il popolo aveva iniziato ad attribuire a quel gioco, nella speranza di cambiare, con la vincita, la propria condizione sociale. La proibizione, però, durò poco, perché la gente continuava a giocare sulla ruota del vicino Stato Pontificio oppure scommetteva nel sottobosco di giocate clandestine gestito da personaggi equivoci e malavitosi.
Carlo III, allora, revocò la decisione, limitando i divieti al periodo delle festività natalizie per rispettarne i riti religiosi. Mai intanto i napoletani, per aggirare anche questi divieti,avevano subito inventato la tombola ed è per questo che, durante le feste, è ancora oggi viva la tradizione del “panariello” e della “tombolata”.
Come Carlo III anche Garibaldi, nel breve periodo napoletano della dittatura, proibì il gioco, ma, dopo poco, si affrettò a ripristinarlo perché la sua soppressione, oltre ai soliti mancati introiti per l’erario, aveva fatto perdere il lavoro gli impiegati addetti, mentre si era nuovamente diffuso il lotto clandestino, con i suoi annessi e connessi di malaffare. Il neonato Stato unitario, invece, comprese subito l’utilità del gioco per l’erario e quindi pensò bene di potenziare le giocate del lotto e di istituire ben sette “ruote”sulle quali giocare.
Le estrazioni, al tempo dell’introduzione del gioco in città, erano solo due o tre all’anno, oltre a quelle straordinarie, poi divennero settimanali con un decreto del 1816. A Napoli, nella zona della Pignasecca, ancora oggi c’è un vicolo chiamato Bonafficiata Vecchia, dove nel’700 avevano luogo le estrazioni: “bonafficiata”, infatti, equivaleva all’odierno significato di lotteria. Una figura molto popolare era quella dell’“Assistito”, l’uomo guidato dagli Spiriti che gli suggeriscono i numeri. Egli è, nella tradizione popolare, una sorta di illuminato che dà i numeri al lotto e che perciò è corteggiato e ascoltato con riverenza. Chi non ricorda, in proposito, la scena del film “Così parlò Bellavista”, in cui la figlia del Professore va proprio dall’Assistito per avere i numeri che le possono garantire un terno?
E proprio nel cinema e nel teatro napoletano si fa spessissimo riferimento al lotto. Mi vengono in mente soprattutto tanti film interpretati dal grande Totò, oltre all’iconico “47 morto che parla”. In teatro, poi, c’è Eduardo con la commedia “Sogno di una notte di mezza sbornia”, in cui Dante Alighieri dà al protagonista, in sogno, appunto, i numeri di una quaterna, precisando però che otto mesi dopo la vincita, alle ore 13, sarebbe morto. Ben più famoso, poi, è il classico “Non ti pago”, in cui il proprietario di un “banco lotto” si arrampica sui tetti di casa per vedere le forme che assumono le nuvole e per tentare, poi, diassociarle ai numeri della “smorfia” da giocare.
E oggi che questo gioco così legato al folklore napoletano è cambiato tanto e ha perso la gran parte di quella sua fascinosa ritualità un po' magica che affondava le sue radici nel profondo dell’immaginario popolare, con un po’ di nostalgia i più vecchi tra noi non possono non ricordare quel senso di calore umano e di partecipazione corale che esisteva quando, nel “banco lotto”, c’era la figura del “postiere”, dell’impiegato che raccoglieva le giocate e aiutava il giocatore ad interpretare il sogno o l’avvenimento che gli si raccontava, scrivendo con un pennino intinto nell’inchiostro i relativi numeri.
Ognuno di quei numeri aveva un significato e l’abilità del “postiere” consisteva nel trasformare in numeri da giocare quel fatto accaduto o quel sogno raccontato, con l’aggiunta di tanta fantasia e di tanta umana e sentita partecipazione condita con un pizzico di sottile ironia. Ma sempre compostissima e quasi professionale, per carità, affinché nessuno si sentisse -mai - neanche minimamente offeso.
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