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Ora trema l'Iran: il dubbio è sulla Bomba

Ora trema l'Iran: il dubbio è sulla Bomba

La Siria è libera dal regime degli Assad ma pare già prigioniera di una costellazione di movimenti terroristici di islamisti sunniti riverniciatisi in conservatori aperti al dialogo, probabilmente sull’esempio dei talibani afgani, i quali sfruttarono l’odio che li divide dai terroristi di Al Qaeda, dell’Isis e di altri movimenti consimili per illudere gli americani - desiderosi d’esserlo  per andarsene - e poi instaurare un sistema tirannico che assicura la miseria e proibisce alla donne non solo di frequentare le scuole ma persino di parlare in pubblico. A cavallo degli anni Sessanta a Kabul non poche ragazze entravano in minigonna all’università.

Cinque giorni per smantellare un regime di cinquanta e più anni. La rotta dell’esercito siriano non deve stupire: lo si è visto sempre nella storia, in tempi meno remoti in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan, per citare alcuni esempi. Era un tempo tra i meglio attrezzati e forti della regione ma ormai indebolito dalla ultradecennale cantonizzazione armata del Paese, dai colpi continui di Israele ai suoi bastioni militari, dalla crisi economica che nutriva la corruzione anche nelle forze armate e dalla rabbia della popolazione, non solo quella sunnita e maggioritaria, ma pure quella delle numerose minoranze che, timorose d’esser tali, avevano trovato il garante della propria sicurezza nel potere degli Assad,  pure espressione della minoranza sciita alawita. Sciiti, cristiani, armeni, drusi e via elencando, costituivano lo zoccolo duro del potere degli Assad,  l’ultimo della serie di regimi mediorientali nazionalisti, cioè laici per il ‘metro’ di quell’area del pianeta, cioè islamici ma non islamisti. Scrivemmo che il massacro di ragazzi israeliani ad opera di Hamas è stato il frutto di un calcolo strategico tra i più errati della storia: il crollo della dittatura degli Assad è un’altra conferma, la terza, dopo la distruzione di Hamas e della sua città sotterranea a Gaza e la mazzata micidiale ad Hezbollah in Libano.

Si sgretola la cosiddetta “mezzaluna sciita”, la sfera d’influenza iraniana che si estendeva da Teheran a Saana, a Bagdad, a Damasco e a Beirut. Di là dagli annunci, nessuna milizia è giunta in soccorso di Damasco, né dall’Iran, né dal Libano, né dall’Iraq, né dallo Yemen e neppure dai territori palestinesi. Laconico il presidente in pectore statunitense Donald Trump: “Assad non c'è più. È fuggito dal suo Paese. Il suo protettore, la Russia guidata da Vladimir Putin, non era più interessata a proteggerlo. Non c'era alcun motivo per cui la Russia restasse lì…ha perso ogni interesse per la Siria a causa dell'Ucraina, dove quasi 600mila soldati russi sono stati feriti o uccisi, in una guerra che non sarebbe mai dovuta iniziare e che potrebbe andare avanti all'infinito”. Ed ha aggiunto che “Russia e Iran si trovano in questo momento in uno stato di debolezza, l'una a causa dell'Ucraina e dell'economia che va male, l'altro a causa di Israele e dei suoi successi nella guerra”.

Ora ci si interroga se Tayyp Erdogan riuscirà a controllare la confederazione di movimenti giunti a Damasco in una volata senza ostacoli. Il presidente in guerra perenne contro i curdi ambisce, se non a rinverdire l’impero ottomano, almeno a recuperare uno spazio d’influenza adeguato alla Turchia potenza regionale.

Se lo chiede Israele, che rafforza il Golan perché il dubbio s’insinua e attenua la soddisfazione della caduta di un altro nemico ai suoi confini. E Putin ha ottenuto garanzie da Istanbul per la sua base navale a Tartus?  Ora i giochi si fanno più complicati. L’obiettivo principale di Israele resta quello di impedire che il programma nucleare iraniano continui e che Teheran prenda tempo e raggiunga la realizzazione dell’atomica. Vi riuscisse, in quello stesso momento, tutte le maggiori potenze mediorientali e nordafricane inizierebbero la corsa verso la Bomba, dall’Arabia Saudita all’Egitto e all’Algeria.  Israele perderebbe la propria massima garanzia di sopravvivenza: il monopolio dell’arma nucleare in Medio Oriente. 

A Instabul in aprile e a Bagdad in maggio le discussioni ‘discrete’ tra delegazioni di governi  delle maggiori potenze e di Teheran hanno avuto il solo effetto di rinviare temporaneamente l’attacco israeliano ai centri nucleari dell’Iran, segnatamente dove si mira all’arricchimento dell’uranio.  Che cosa farà adesso Teheran, privata della sponda siriana? Se accelererà il programma, sperando resti segreto, l’attacco di Netanyahu sarebbe certo.

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