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L'analisi

Ruffini, la Balena bianca e l’analfabetismo ignorato

Ruffini, la Balena bianca e l’analfabetismo ignorato

Per una buona metà, la scorsa settimana – mediatica – è stata calamitata da una irrinunciabile notizia: che l’avvocato Ernesto Maria Ruffini – d’antico lignaggio democristiano, assicurato a saldi ancoraggi nei palazzi apostolici, intimo dell’attuale Presidente della Repubblica e da lui stimatissimo, nonché (ormai dimissionario) Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate con trasversali consensi – questo così blasonato Signore ha messo in subbuglio il mondo del potere, perché additato qual possibile federatore d’un ‘nuovo’, preteso soggetto politico: il Centro, già Balena bianca, oggi alla ricerca d’ammodernata collocazione e forsanche colorazione, insomma l’eternamente rientrante famiglia cattolica. Sempre esista ancora, è da vedere, essa vorrebbe darsi una riedita configurazione ed avrebbe individuato in questo non proprio illustrissimo suo esemplare, il proprio Lancillotto. Che di tal legittima manovra ideata all’interno dei palazzi romani i media si siano occupati a tutto volume – dedicandole profluvio di ‘prime pagine’, impegnando i migliori ‘analisti’ della politica, lasciandosi andare in previsioni d’ogni sorta – come si fosse trattato dell’ormai imminente avvento del di Gesù di Nazareth nella grotta di Betlemme – beh questo è un assai triste segno dei tempi e permette anche d’intendere come le gerarchie dell’informazione ordinino il loro borderò. Nella medesima settimana, un’altra notizia, sembrerebbe di ben altri riflessi, ha fatto la sua apparizione. Ed uso il sostantivo ‘apparizione’ nel senso più temporale: per sottolineare che è intervenuta qual effemeride, appena per un attimo intravista e poi subito disparsa. Ad essa i luoghi dell’informazione, quelli che sarebbero deputati a distinguer con criterio, a differenziare il grano dal loglio per proporre al pubblico una cronaca valorizzata in ragione dell’interesse generale coinvolto, ad essa poco o nulla è stato accordato, nessun dibattito è stato sollecitato, niente di niente. Eppure, si trattava appena appena di questo: in base ad una ricerca Ocse è stato accertato che il 35% degli italiani – più di 1/3 della popolazione – tra i 16 ed i 65 anni, dunque di quelli in età da pieno impegno lavorativo, ha una capacità di comprensione di un testo inferiore al livello 1, penultimi nel novero dei Paesi esaminati, con l’aggiunta che siamo altresì all’ultimo posto in capacità nel problem solving. L’Ocse, si sa, è l’organizzazione internazionale di studi economici incaricata d’analizzare la situazione dei cosiddetti Paesi democratici e sviluppati. Cosicché è stato affermato e confermato il nostro orgoglioso primato in analfabetismo funzionale. Il che nel 2024, èra d’intelligenza artificiale, non è proprio male, anche perché sarà proprio quella, l’intelligenza artificiale, a supplire e dunque a conformare tutti noi secondo i dettami del contesto che questi sistemi informatici governa. Non è poca cosa sapere che un buon terzo della popolazione non è in grado di comprendere un testo (per esperienza da docente universitario aumenterei quella percentuale) e dunque un discorso appena un po’ articolato. Senza dire chetutte le statistiche presentano un difetto: di non offrire il dato analitico, ma solo il sintetico: sicché ci saranno luoghi – e non è difficile intender quali – dove quel tasso supererà di gran lunga il 50 della fatidica percentuale. Un tal livello d’analfabetismo è fenomeno di colossale gravità, ne va della storia del Paese. Perché avere una popolazione sì ampia di persone con non sanno fare la O col bicchiere – in senso metaforico, per carità – significa la presenza d’una massa di manovra liberamente manipolabile e pronta a cadere nelle mani di chicchessia. E ciò in una realtà altamente industrializzata e che pretende d’ascriversi alla cultura occidentale – la quale si distinguerebbe per senso critico e aborrimento dei dogmatismi. Si tratta d’un problema serissimo in termini di capitale umano, in un’epoca in cui il lavoro strettamente manuale ha perso di significato ed anche quelle prestazioni che un tempo erano attuate semplicemente con il sudore della fronte, richiedono oggi capacità di comprensione delle tecnologie e delle istruzioni che l’uso di queste impone a chi vi si deve applicare. L’incapacità di comprendere un discorso appena un po’ articolato, consente nelle democrazie il prevalere del populismo. Ed i populisti – bene ricordarlo – sono coloro che, privi d’ogni scrupolo per l’interesse generale, mirano esclusivamente alla conquista del potere per usarne nel personale interesse o, meglio, nell’interesse di cinici potentati che di essi si servono e che non badano ad altro se non al cieco accrescimento della propria influenza e conseguentemente al massimo appagamento della rapacità economico-finanziaria: il tutto a scapito del benessere collettivo, facendosi gioco del voto delle ignare maggioranze. La politica, in un Occidente avanzato, dovrebbe servire proprio a moderare e mediare tra l’incontenibile istinto appropriativo del gran capitale e le necessità di una comunità fatta di realtà varie, tutte aspiranti all’avanzamento. Ma le democrazie funzionano se i cittadini sono nella gran parte tali, consapevoli individui in grado di (relativamente) discernere e d’aver contezza della complessità dei problemi, in modo da non lasciarsi incantare ed irretire dalle sirene che periodicamente si propongono, potatrici di messaggi ecumenici, che prospettano Eden di varia natura, risorse inesauribili, abbattimento delle diseguaglianze perché tutti eguali. E con ciò perpetuano ed aggravano i divari, giacché enfatizzanostrumentalmente l’irraggiungibile, perdendo di vista quei graduali avanzamenti verso il miglioramento, gli unici in realtà plausibili. Ma il meccanismo democratico presuppone progresso nell’istruzione e nell’educazione, perché altrimenti i demagoghi saranno sempre i padroni ed a prevalere saranno le idee banali ed inutili, anzi utili solo a chi le propaganda, e per un breve periodo. Ma evidentemente, da noi ci si occupa d’altro, di Ernesto Maria Ruffini. 

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