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L'opinione
16 Dicembre 2024 - 10:25
In prima battuta avrei voluto commentare anch’io le ultime vicende che hanno stravolto, in maniera così radicale, inattesa e sorprendente, la vita dei Siriani e l’assetto politico di una nazione che dal 2011 ad oggi ha vissuto momenti drammatici in cui il volto orribile della guerra si è mostrato in tutte le forme che la ferocia umana può metter in campo. Poi ho pensato all’orgia di commenti, di interpretazioni, di valutazioni geopolitiche di ogni genere - e spesso discordanti tra loro - che sta caratterizzando in questi giorni i giornali, le televisioni e l’intero sistema dell’informazione che siamo abituati a conoscere e spesso a subire e … mi sono fermato. L’ho fatto per il rispetto che nutro nei confronti della Siria e dei suoi abitanti e perché credo che occorra attendere ancora un poco - non molto per la verità - per renderci conto della gravità di quanto è effettivamente accaduto in questi giorni di dicembre e di quanto il futuro di quella terra martoriata sia fosco e denso di nubi che non promettono nulla di buono. E allora preferisco ricordare la Siria che ho conosciuto in passato e che da anni, purtroppo, ha cessato di esistere, già molto molto prima del drammatico epilogo di questi ultimi giorni. Conosco abbastanza il Medio Oriente per averlo percorso tante volte,spesso per lungo tempo, in un passato oramai lontano e ho amato molto, in particolare, questa terra siriana così ricca di storia, di cultura e di fede. Ho visitato chiese cristiane antichissime e suggestive,abbarbicate a montagne quasi inaccessibili, che erano al tempo stesso anche conventi e santuari che rimandavano ad un cristianesimo primigenio, avvolto da un’aura di sacralità intensa e speciale che riportava il fedele indietro nei secoli, al di là della dimensione spaziotemporale, facendolo sentire partecipe di un mistero tanto intenso quanto indefinibile. Ho visto altari millenari e icone semplici e sacre che sono tesori meravigliosi e rari risalenti alle origini delle fede cristiana. E ho sentito recitare il Padre Nostro in aramaico, quella lingua antichissima dei tempi di Gesù parlata ancora nel villaggio di Maaloula, con le sue piccole case dipinte di azzurro e di blu. Ho rivissuto la storia degli eremiti del Cristianesimo d’Oriente tra le suggestive rovine della Cittadella di San Simeone e mi sono perso tra le mura possenti del Krak dei Cavalieri, la gigantesca fortezza crociata eretta a controllare il “Passo di Homs” che conduce verso la costa del Mediterraneo. Ma la mia Siria è stata anche lo splendore della Moschea degli Omayyadi, a Damasco, con la sua storia, la sua straordinaria bellezza architettonica e i suoi silenzi rotti soltanto dai richiami alla preghiera del “muezzin” e la Cittadella fortificata di Aleppo, luogo affascinante che ha avuto centovite e visto mille battaglie. E poi le rovine di Palmyra, la città della misteriosa regina Zenobia, un gioiello di archeologia e di storia che ti appare all’improvviso, con i suoi mille colonnati, come un miraggio nel deserto. E Siria sono anche le rovine ellenistiche e romane di Apamea, sulla riva destra dell’Oronte e il sito archeologico di Bosra, al confine con la Giordania, con le sue costruzioni in pietra nera di basalto e il grande teatro romano perfettamente conservato. Vorrei descrivere anche gli innumerevoli bazar con i loro mille odori di spezie e i grandiosi caravanserragli del periodo ottomano, presenti in tutto il paese, ma preferisco fermare il fiume carsico di quelle immagini custodite nella mente e nel cuore perché sono il ricordo di una Siria che in parte esiste ancora, ma non so più in che condizioni e in parte, purtroppo è finita per sempre, è morta nell’ultimo decennio di bombe, di massacri e di follia e non ritornerà mai più. Di questo sono certo, credetemi. Possiamo raccontarcela come vogliamo, ma la Siria colta e orgogliosamente multiconfessionale è oramai soltanto un ricordo. Non so che cosa riserverà il futuro a questa terra martoriata. All’orizzonte, oltre la cortina fumogena “buonista” di circostanza, vedo solo nuovi lampi di guerra eancora nuvole scure e minacciose. Mentre quelle ragazze e quei ragazzi drusi, cristiani e musulmani che ho visto scherzare, cantare e fare musica insieme, nel tramonto dorato di un giorno di tarda primavera, sulla spiaggia di Latakia, già sono come i fotogrammi della pellicola sgranata e sbiadita di un vecchio film difficile da restaurare: non c’è più nessuno che voglia o che sappia mettervi mano.
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