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Il punto
17 Dicembre 2024 - 09:24
Olaf Scholz
“C’è molta confusione sotto il cielo” ma l’ottimismo non prevale che a metà nel dedurre, a volte solo immaginare, come potrebbero evolvere gli equilibri nel Vecchio Continente e in Medio Oriente, attraversati da crisi speculari e in alcuni casi interconnesse.
Il motore dell’Unione Europea, la Germania, è inceppato. La mente e la spada, la Francia, soffre di una febbre che si teme peggiori. La guerra in Ucraina ha stroncato l’intesa tra Berlino, Mosca e Pechino – geniale costruzione di Gerhard Schroeder - che permetteva alla Germania, il maggior Paese manifatturiero nell’UE, di usufruire di energia a basso costo e mercato asiatico in espansione. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ieri aperto la porta alle elezioni parlamentari anticipate chiedendo un voto di fiducia che inaugura la stagione elettorale.
Se la destra di Alternativa per la Germania, l’AfD, ripeterà il successo della consultazione europea, i ‘popolari’ di Cdu e Csu – in crescita di consensi nell’elettorato progressista più moderato, secondo alcuni istituti demoscopici - dovranno scegliere se aprire alla destra(nutritasi di elettori ed esponenti democristiani) le porte del governo oppure rinnovare, dopo una pausa, l’alleanza con i socialdemocratici. Un governo di centrosinistra per frenare la polarizzazione politica. E’quanto si augurano a Bruxelles ma l’incognita è rappresentata dagli umori di una società in sovraccarico di disoccupati potenziali e d’immigrati.
E che si rivela stufa degli allarmi strumentali per un fantomatico neonazismo dietro l’uscio. Scholz ha bruciato i tempi del ricorso alle urne temendo che non giochino a favore della stabilità, né del suo partito, né suo. Parigi ha subìto - con l’allargamento della Nato, che ha provocato la reazione di Mosca e il conflitto con Kiev – una riduzione strategica del proprio ruolo. E’ l’unico Stato dell’Ue, il francese, con una forza nucleare autonoma e indipendente e con un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. I vertici del Paese mostrano, inoltre, di avere le idee appannate su istituzioni, economia, società multietnica e multinazionale. E accrescono disorientamento, dubbi e rabbia nella nazione.
In più, Parigi ha perduto fascino, peso, spazio e proiezione nella Francafrique: ne stanno profittando Cina e Russia e in prospettiva forse la Turchia. Punta, Macron, a fare della Francia il pilastro della futura difesa integrata europea. Se ne discute da metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Il crollo dell’Unione Sovietica, che riavvicinava l’Occidente euroatlantico all’Occidente euro-asiatico, aveva reso secondarie la ‘Force de frappe’ e una certa funzione della Francia di ponte tra Usa e Urss. Il parto di un governo di centrosinistra battezzato da Macron calmerà una Francia ch’è ormai stanca di lui più che d’ogni formula di governo? La risposta la darà solo il futuro prossimo.
Le crisi del gollismo e del socialismo, segnati dalle fallimentari presidenze di Nicolas Sarkozy e di Francois Hollande, hanno scosso le fondamenta della Quinta Repubblica imperniata su semipresidenzialismo e sistema elettorale maggioritario a doppio turno che favorisce il bipolarismo, premiandoalternativamente partiti o coalizioni di centrodestra e centrosinistra. Con Macron è ricomparso il ‘centrismo’ assieme alla tentazione di recuperare il parlamentarismo, fallito con la Quarta Repubblica, che dal 1946 al 1958 collezionò un rosario di governi: 21 in 12 anni! Ma Francois Bayrou n’è interprete convinto ed è stato scelto a guidare il governo. Punta ad associare la sinistra socialdemocratica, ridotta al lumicino.
A precederlo all’Hotel Matignon è stato Michel Barnier, che guardava a destra. Marine Le Pen non è stata al gioco di Macron: lo ha bocciato, ritenendo che avesse l’obiettivo di frenare il processo di riavvicinamento tra le due destre storiche: la gollista e l’ex petainista. Marine Le Pen s’è da tempo allontanata dal padre Jean Marie, ha cambiato nome al Front national (Fn), ora Rassemblement national(Rn), incamminandosi speditamente sulla strada della destra liberalsociale. Percorso simile a quello dell’ex Msi.
Alle scorse elezioni europee il Rassemblement è stato premiato: dalle urne il primato dei consensi. Le crisi tedesca e francese si accompagnano, seguono e anticipano altri sismi elettorali nel Vecchio Continente pure correlati all’Ucraina. In un momento di sincerità, una parte – sebbene minoritaria – della stampa europea ha abbandonato i diktat degli editori, il ‘partito preso’ dei direttori e il preconcetto ideologico di opinionisti a gettone, aprendo uno spiraglio di verità ai propri lettori.
‘Le Monde’ ha sottolineato la delusione per il recente voto segnatamente in due repubbliche ex sovietiche. In Georgia, circa 4 milioni di abitanti, proprio all’indomani della concessione di Bruxelles della candidatura all’adesione all’Ue. E in Moldavia, poco più di 2 milioni e mezzo di abitanti. S’attendeva, data la guerra in Ucraina, una vittoria a man bassa degli esponenti anti-russi e invece è arrivata una clamorosa sorpresa.
Infatti, nelle elezioni in Georgia il 53 % dei votanti ha scelto chicon il Cremlino vuol dialogare, data anche l’esperienza che portò alla perdita nell’agosto 2008 dell’Abkhazia e dell’Ossezia, separatiste ed occupate da Mosca dopo che gli Stati Uniti avevano messo il naso nel Caucaso. E l’altro giorno si è insediato alla presidenza MikheilKavelashvili.
Nel centro di Tblisi continuano le proteste contro il rinvio al 2028 del processo d’adesione all’Unione europea mentre la presidente uscente, SaloméZurabishvili, ritiene “illegittimo” il responso elettorale ma i presunti brogli non spiegano lo scarto notevole registrato nelle urne. In Moldavia solo per un soffio - appena il 50,05% dei votanti - “ha prevalso la costituzionalizzazione dell’integrazione europea”.
L’opposizione filorussa ci ha risparmiato le solite accuse di brogli a giustificare la sconfitta. Resta che l’Ue, nella versione ‘bellicosa’ declinata da Bruxelles, attira meno pure lì. Non a caso, la regione indipendentista della Transnistria si sente, più di prima, parte della Federazione russa. In Romania si è fatto ricorso addirittura alla Corte Suprema per impedire il ballottaggio alle presidenziali tra il vincitore del primo turno, Calin Georgescu, della destra ambientalista e favorevole al negoziato con Mosca, e la liberale “europeista” di centro Elena Lasconi, giunta seconda.
Erano rimasti esclusi il premier uscente, il socialdemocratico Marcel Ciolacu e il leader dell’estrema destra filorussa George Simion. La Corte Suprema è formata da 9 giudici: 4 nominati dal partito socialdemocratico e 5 dal presidente Klaus Iohannis, un nazionalliberale vicino al regime di Kiev.
Tanto per calibrane l’indipendenza… Un vero e proprio golpe. Attuato con il supporto di Bruxelles e di Washington e firmato da una Corte suprema ‘d’appartenenza’: nove persone, espressione delle forze politiche che li hanno scelti anche - se non soprattutto - per tasso di fedeltà in un Paese, la Romania, meno corrotto soltanto dell’Ucraina. Perché in quell’area del Vecchio Continente la corruzione e la corsa alla tangente ‘per mediazione’ rientra nell’eredità del comunismo sovietico procreatore d’indigenza.
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