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L’OPINIONE
19 Dicembre 2024 - 10:42
Ricordo che negli anni ’70, in un’università americana, si celebrava il cosiddetto “Giorno di assenza”, nel corso del quale i professori e gli studenti non bianchi lasciavano il campus universitario per ritrovarsi in un altro luogo. Con quest’atto si cercava di ricordare e far ricordare fino a che punto coloro che non avevano la pelle bianca fossero importanti nella vita del campus. Accadde poi che nel 2017 gli organizzatori di questa cosa iniziarono a pretendere che fossero, invece, i professori e gli studenti bianchi a lasciare il college, in quel giorno. Un professore, per altro liberal e progressista, vi si oppose ritenendo che ci fosse una fondamentale differenza tra un gruppo che decide di sua iniziativa di non venire nel campus e un gruppo che, invece, obbliga l’altro a non venirci. Questo incauto professore si trovò, così, a dover subire la collera degli studenti liberal e progressisti come lui e anche le critiche aperte dell’amministrazione universitaria, al punto da abbandonare l’insegnamento in quel college per timore di atti violenti nei suoi confronti. Èstato da allora che incominciò a prendere piede quelfenomeno sociale definito con il termine “woke”, oramai diventato di uso comune. È unfenomeno che dalle università statunitensi è poi tracimato in tutto il mondo anglosassone ein Europa. A partire dal 2020 è cresciuto in termini esponenziali, parallelamente e in simbiosi con il dilagare della “cancel culture”, del “black lives matter” e del fenomeno ipertrofico del “me too”. Il termine “woke” che tradotto sta all’incirca per “ sveglio”, “all’erta “, ha finito con il divenire espressione autoreferenziale per indicare qualcuno - singoli, gruppi o categorie di persone - che ritiene di essere sensibile alle ingiustizie che possono verificarsi intorno a lui, in contrapposizione a coloro che, invece, sarebbero addormentati, ovvero non sono o non vogliono essere educati alle parole d’ordine di una società che deve essere, nelle intenzioni di chi ritiene di essere in possesso della verità “woke”, sempre più aperta, indifferenziata, inclusiva e sensibile ad ogni ipoteticatematica di carattere razziale e di genere. Abbiamo tutti sotto gli occhi la deriva che il cosiddetto “wokismo” sta imprimendo in maniera insistente, invadente, opprimente, simil metastatica e spesso paradossale, alla vitaprivata e pubblica, un po’dovunque, per trattarne ancoraanche in questa brevi note. Ègiusto, invece, evidenziare alcuni aspetti sicuramente significativi di tale deriva. Il primo è che l’ideologia woke sacralizza solo la “decostruzione” ed è un’ideologia paradossale perché la sua unica proposta è, appunto, la decostruzione e la sua unica affermazione è unanegazione, quella della Storia e, sempre più spesso, della realtà. Il metodo della “cancel culture”, che del “wokismo” è parte integrante, si limita, per esempio, ad annullare e bandire persone, fatti e idee senza proporre nulla, ma limitandosi alla sistematica demolizione di ciò che ritiene espressione di gruppi cosiddetti dominanti. Così come l’altro, il “diverso” tanto decantato, finisce con l’essere apprezzato e sostenuto solo in quanto utile a decostruire, a distruggere ciò che si detesta.Ma se, per caso, rifiuta questo semplice ruolo distruttivo sarà subito a sua volta demonizzato, diventerà bersaglio, perché il suo ruolo, nel programma woke, deve limitarsi ad essere esclusivamente strumentale. E non è casuale neanche il fatto che il militante woke filtri la realtà in modo tale da farne emergere solo gli aspetti negativi, perché solo una realtà caratterizzata esclusivamente da aspetti negativi può essere demonizzata, detestata e rifiutata in toto, senza se e senza ma. Siamo, insomma, nel campo delle peggiori distorsioni cognitive. Ma se certe fasce, soprattutto giovanili, sono attratte dal “wokismo”, è perché questo offre loro delle presunte certezze da accettare acriticamente nella crisi profonda di obiettivi, di identità e di senso in cui versagran parte della società contemporanea. Di sicuro, l’antidoto a questa nuova ideologia della distruzione per la distruzione c’è. Occorre riscoprire e rivalutare i punti fermi della Storia, della cultura, dell’arte e dell’agire politico, riannodando i fili delle identità perdute o dimenticate, ricostruendo i percorsi di riferimento valoriale erivalutando la nobiltà diprincìpi e di ideali che sono stati per troppo tempo trascurati, sottovalutati, derisio negletti. Si tratta di rifondare la società trasformandola in comunità e riappropriandoci di quelle radici che qualcuno ha cercato e cerca ancora di distruggere. C’è molto da fare. Facciamolo.
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