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L'analisi

L’ombra del pregiudizio sulla classe dirigente

Prendiamo a “caso” il “caos” che tiene banco sul Presidente della Regione Campania De Luca circa la praticabilità o meno di un suo terzo mandato

L’ombra del pregiudizio sulla classe dirigente

Il governatore Vincenzo De Luca

Si parla tanto e giustamente della Costituzione come un modello di perfezione legislativa, apprezzata in tutto il mondo, di riferimento, in passato e anche oggi, nel battesimo di nuovi o piccoli grandi Stati e delle indispensabili regole per farli crescere e sviluppare nel segno del diritto e della democrazia.

Assistendo, però, alle quotidiane ricorrenti e litigiose criticità istituzionali ad ogni livello, abbiamo la sensazione che il nostro Paese si adoperi molto a farla apparire diversa da come si racconta e la si esalta. Spesso a confermarlo sono vicende le più insignificanti.

Prendiamo a “caso” il “caos” che, da qualche anno in qua, in vista delle prossime elezioni regionali, tiene banco sul Presidente della Regione Campania De Luca circa la praticabilità o meno di un suo terzo mandato, cioè a potersi ricandidare per la terza volta. Si è innescata una disputa, talmente accesa, da trascinare in campo il fior fiore delle intelligenze e eccellenze giuridiche con verdetti spesso interlocutori che lasciano ancora spazio a nuovi approfondimenti e distinguo.

C’è chi si appella senza margini di confutazione all’art. 51 della Costituzione che dice. “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla Legge”. Chi invece sostiene l’opposto e argomenta le sue tesi con una premessa assertiva: l’art. 51 non è il verbo valido in assoluto per tutti né tanto meno ha il dogma dell’immodificabilità.

E dietro una “fattispecie” sconfinata di casi, elenca varianti, postille e codicilli che prevedono molto altro. Anche se ogni discorso al riguardo è sostenibile, tutto ciò, questa ricchezza di apporti e di contributi insinua più di qualche dubbio sull’immodificabilità della nostra Magna Charta.

Che, molto spesso, in alcune controversie, più che essere interpretata in punto di diritto si valuta in punto, o meglio, contrappunto di pregiudizio con tutto ciò che comporta e ne consegue. Uno sconvolgimento che può cambiare tutto. Se si ragiona con il pregiudizio ogni cosa è messa in discussione.

Chi dirige, chi comanda fosse anche il più socratico servitore dello Stato è sempre a rischio con questo metro di giudizio che appartiene ad una sfera dell’animo umano soggetto a molteplici pulsioni e emozioni, difficile anzi impossibile da decifrare. Stando così le cose, pensiamo che le garanzie migliori di linearità possano derivare più da rigide clausole di salvaguardia in favore delle istituzioni piuttosto da chi le rappresenta le istituzioni, liberando quest’ultimo da ogni sorta di strumentalizzazione.

Nel quadro appena auspicato, la Regione in genere come Ente Istituzione del Decentramento ha molto da farsi perdonare. Tutti i timori che ne accompagnarono il lungo e travagliato varo si sono puntualmente verificati essendo stati traditi i principi cardine del Decentramento. Ricorderemo tra i tanti severi giudizi quello di Costantino Mortati, che mise in guardia dal “rischio della sopraffazione da parte delle Regioni più popolate e più ricche, verso quelle meno popolate e più povere”.

E aggiunse: “Bisogna evitare un accentramento regionale più pericoloso dell’accentramento burocratico statale”. Quanto al resto sulle disparità tra Regioni, molto conta e conterà per sanarle se c’è un minimo di capitale sociale, se non esprime soggetti e processi capaci di utilizzare al meglio le risorse proprie e quelle esterne.

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