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Biden s’avvia alla porta. Europa, è tempo di pace

Una follia l’Occidente euroasiatico ancora una volta contrapposto all’Occidente euroatlantico.

La decisione di Biden e il rischio di escalation

Il presidente uscente Joe Biden

Che cosa se ne fanno della terra, i morti? A chi è stata negata la giovinezza che importava della terra? Neppure era patria, bella parola, quella. Donbass e Crimea, tatara poi russa, infine sovietica, ‘terra di confine’ dell’impero... È tempo, gran tempo di parlare di pace. In Europa se non in Medio Oriente, dov’è sempre pausa precaria tra i conflitti. E spiace che il presidente statunitense finalmente uscente, spalleggiato nel Vecchio Continente da chi è restìo ad adeguarsi al ‘nuovo che avanza’ almeno per quattro anni, insista a ripetere la parola di cui ha abusato: guerra. Quasi a compensare l’ultimo dei ritiri americani, dall’Afghanistan, e gli ultimi dei silenzi, sugli armeni del Nagorno Karabakh e sui curdi (che, ironia della storia, degli armeni furono partecipi assassini).

Donald Trump ha dischiuso l’uscio alla diplomazia perché apra le porte a una stagione negoziale. Vladimir Putin ha risposto proponendo la Slovacchia tra i luoghi nei quali incontrarsi. Il premier Robert Fico, come tanti post-comunisti divenuto socialdemocratico, primeggia tra i pacifisti convinti dell’Unione Europea, siano essi di destra o di sinistra, e s’è proposto di accogliere i negoziati a Bratislava. Joe Biden, manco a dirlo, sé rifiutato. Gli importa più scansare la prigione al figlio e il patibolo a trentasette criminali che pure lo meritavano. La maggioranza dei cittadini europei, primi fra tutti gli stessi ucraini, è ormai stanca del sangue e dei vaniloqui di Volodymyr Zelensky a capo di un cerchio di sodàli coi quali ha stretto nelle mani un potere dittatoriale.

Nel Vecchio Continente le ultime follie delle presidenze statunitensi influenzate dai Neocon hanno portato, con Barak Obama e Joe Biden, alla catastrofe di una guerra che genera una “inutile carneficina”, immense devastazioni ambientali, crisi economica e una nuova corsa al riarmo. Oltre al miraggio di uno stratosferico business della ricostruzione, che suscita ansiosi appetiti, che pagheranno i contribuenti ucraini ed europei. Sono stati strappati i punti coi quali era stata suturata nel 1991 la ferita purulenta rappresentata dal Muro di Berlino, dal confronto tra Alleanza Atlantica e Patto di Varsavia, dalle selve di missili nucleari che assicuravano l’equilibrio del terrore con la Mutua distruzione assicurata (Mad), stabilità che i trattati INF e Start garantivano. Una follia, allontanare la Russia. Non c’è da stancarsi nel ripeterlo: una follia l’Occidente euroasiatico ancora una volta contrapposto all’Occidente euroatlantico. In un mondo dagli equilibri multipolari, un regalo ai protagonisti principali della sfida globale: Usa e Cina. Non più divisi da modelli economici differenti ma dal modo di gestirli. Nel Vecchio Continente il vento sembra davvero cambiare direzione.

Le elezioni anticipate a febbraio in Germania rappresentano soltanto l’ultima conferma. Precedute – in questi ultimi anni da altre simili scosse sismiche registrate nelle urne. Le più clamorose in Francia, spada e mente d’Europa. Perdono consensi e appaiono vieppiù disorientate le forze politiche e i loro leader che a Bruxelles più diligentemente, diciamo pure come un gregge seguivano le direttive di Biden. Neppure fa più eccezione la Gran Bretagna, dove i laburisti hanno da poco rimpiazzato i conservatori al potere ma per seguire in politica estera lo stesso percorso e ricevere la severa condanna degli elettori pentiti, affidata per ora agli istituti demoscopici. Ci stanno ripensando. Facile che cambino registro appena la Casa Bianca cambierà inquilino. Ma la sorpresa maggiore nel Regno Unito è un’altra: per la prima volta il partito conservatore Tory viene scavalcato a destra: ha infatti raccolto meno iscritti del Partito delle riforme. Raggiante Nigel Farage: “Un avvenimento storico. Abbiamo superato il più antico partito politico del mondo. E’ straordinario. Non abbiamo dietro alle spalle forze economiche, né mass media. A rivelarsi è il sentimento genuino del popolo”.

Cresce il moto di protesta in Europa. Nasce sia dalla Francia, che n’era mente, cuore e spada; sia dalla Germania, che n’era motore e pancia. In Francia la destra bicefala si riappacifica ma attorno a Marine Le Pen. In Germania il voto delle europee e i sondaggi di quello anticipato condannano socialdemocratici, liberalie Verdi a favore della nuova sinistra di Alleanza SahraWagenknecht – Ragione e Giustizia e della destra di Alternativa per la Germania (AfD). Destra e sinistra unite contro la guerra. Vedremo come e se Parigi e Berlino, cioè Emmanuel Macron e Friedrich Merz, manterranno la barra al centro. In entrambi i Paesi i socialdemocratici e i Verdi sono indeboliti e si prefigurano come comodi sgabelli per i centristi, chissà… Cresce il moto di protesta in Europa, a Tblisi si insedia un presidente che vuol rifar pace con Mosca e stabilizzare la Georgia. A Bucarest un ‘golpe bianco’ ha rallentato la svolta, per il momento. E in Moldavia solo le modalità del voto hanno favorito la presidente uscente…

E altro ancora si prospetta. Dovrà tenerne ben conto anche Giorgia Meloni, la quale s’è finora barcamenata alla meglio, attirandosi bacetti in fronte da Biden e apprezzamenti (in attesa di conferma) dal duo Trump-Musk. La protesta in Europa, ch’era sottotraccia fino al novembre americano, si estende e si propaga di rivolo in ruscello e in torrente e in fiume. Dalla Senna al Tamigi, dal Reno al Danubio, dal Dimbovița al Kura…Un dedalo che sgorga apparentemente da foci diverse e lontane ma solo perché scorre anche sotterra, quasi traversi cavità carsiche o s’immerga in mari di sabbia maproceda come il delta sommerso dell’Okavango.

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