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L'intervento
03 Gennaio 2025 - 09:31
L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 164 del 26 novembre 2024, noto come “correttivo alla Riforma Cartabia”, è stata ben più di una revisione marginale del processo civile. Contrariamente a quanto il nome suggerisce, il correttivo ha modificato 161 articoli del codice di procedura civile, con abrogazioni, sostituzioni e introduzioni che hanno ridefinito profondamente la struttura del processo.
Più che un aggiustamento, si tratta di una vera e propria nuova riforma, con implicazioni importanti per avvocati, magistrati e cittadini. Uno degli aspetti più controversi riguarda il brevissimo periodo transitorio. Il legislatore ha scelto di applicare le nuove norme a tutti i processi introdotti a partire dal 28 febbraio 2023, di fatto imponendo una retroattività che ha creato disorientamento e difficoltà operative.
Se l’intento era correggere le incongruenze della Riforma Cartabia, l’esito è stato un ulteriore appesantimento del sistema giudiziario, già gravato da cronici problemi organizzativi e da una carenza di personale amministrativo che paralizza molti tribunali. Tra le innovazioni di maggiore impatto c’è la riscrittura dell’articolo 171-bis, che introduce il rilievo officioso dell’incompetenza da parte del giudice.
Una verifica preliminare che il magistrato esegue in solitaria, prima della prima udienza. Questo nuovo approccio, pensato per razionalizzare il procedimento, ha però sollevato critiche. La Corte Costituzionale stessa, con la sentenza n. 96/2024, ha messo in luce profili di disparità dovuti alla mancata interlocuzione tra giudice e parti nella fase preliminare. Sebbene il provvedimento emesso in solitaria sia sempre revocabile, il rischio di minare il contraddittorio resta evidente.
La Riforma Cartabia aveva introdotto il rito semplificato di cognizione come modello preferenziale. Tuttavia, il correttivo ne ha complicato ulteriormente l’applicazione, rendendolo poco praticabile in molte situazioni. Ad esempio, nelle cause assegnate al giudice monocratico, il rito semplificato si applica di default, ma nei collegi è necessario verificare presupposti specifici, come il numero delle parti e la complessità delle domande.
Questo genera incertezze e rallentamenti, anziché le auspicabili semplificazioni. Inoltre, l’obbligo per le parti di anticipare tutte le questioni e le prove già nelle prime memorie rischia di snaturare il principio del contraddittorio, trasformando il processo in un percorso rigido e poco flessibile. Allo stesso tempo, la possibilità per il giudice di convertire il rito semplificato in ordinario accentua l’instabilità procedurale, con conseguenze negative sull’efficienza e sulla chiarezza. La situazione è resa ancora più complessa dalla riorganizzazione del procedimento davanti al giudice di pace, dove la costituzione dell’attore avviene ora con il deposito del ricorso e la citazione è stata eliminata.
Questo cambiamento, unito alla cronica mancanza di personale nei tribunali, ha portato in alcune aree del Paese a una vera paralisi giudiziaria. Non sorprende, dunque, che gli avvocati napoletani abbiano protestato lo scorso 13 dicembre, chiedendo la reintroduzione dell’atto di citazione. La riforma, con le sue criticità e ambiguità, non solo ostacola l’accesso alla giustizia, ma mina anche il ruolo storico dell’avvocato, pilastro della società italiana da 150 anni.
In definitiva, se l’obiettivo del legislatore era modernizzare il processo civile in linea con le direttive europee, il risultato sembra andare nella direzione opposta: un sistema più complesso, incerto e difficile da gestire, che rischia di allontanare la giustizia dai cittadini.
L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 164 del 26 novembre 2024, noto come “correttivo alla Riforma Cartabia”, è stata ben più di una revisione marginale del processo civile. Contrariamente a quanto il nome suggerisce, il correttivo ha modificato 161 articoli del codice di procedura civile, con abrogazioni, sostituzioni e introduzioni che hanno ridefinito profondamente la struttura del processo. Più che un aggiustamento, si tratta di una vera e propria nuova riforma, con implicazioni importanti per avvocati, magistrati e cittadini. Uno degli aspetti più controversi riguarda il brevissimo periodo transitorio.
Il legislatore ha scelto di applicare le nuove norme a tutti i processi introdotti a partire dal 28 febbraio 2023, di fatto imponendo una retroattività che ha creato disorientamento e difficoltà operative. Se l’intento era correggere le incongruenze della Riforma Cartabia, l’esito è stato un ulteriore appesantimento del sistema giudiziario, già gravato da cronici problemi organizzativi e da una carenza di personale amministrativo che paralizza molti tribunali.
Tra le innovazioni di maggiore impatto c’è la riscrittura dell’articolo 171-bis, che introduce il rilievo officioso dell’incompetenza da parte del giudice. Una verifica preliminare che il magistrato esegue in solitaria, prima della prima udienza. Questo nuovo approccio, pensato per razionalizzare il procedimento, ha però sollevato critiche.
La Corte Costituzionale stessa, con la sentenza n. 96/2024, ha messo in luce profili di disparità dovuti alla mancata interlocuzione tra giudice e parti nella fase preliminare. Sebbene il provvedimento emesso in solitaria sia sempre revocabile, il rischio di minare il contraddittorio resta evidente.
La Riforma Cartabia aveva introdotto il rito semplificato di cognizione come modello preferenziale. Tuttavia, il correttivo ne ha complicato ulteriormente l’applicazione, rendendolo poco praticabile in molte situazioni. Ad esempio, nelle cause assegnate al giudice monocratico, il rito semplificato si applica di default, ma nei collegi è necessario verificare presupposti specifici, come il numero delle parti e la complessità delle domande. Questo genera incertezze e rallentamenti, anziché le auspicabili semplificazioni.
Inoltre, l’obbligo per le parti di anticipare tutte le questioni e le prove già nelle prime memorie rischia di snaturare il principio del contraddittorio, trasformando il processo in un percorso rigido e poco flessibile. Allo stesso tempo, la possibilità per il giudice di convertire il rito semplificato in ordinario accentua l’instabilità procedurale, con conseguenze negative sull’efficienza e sulla chiarezza. La situazione è resa ancora più complessa dalla riorganizzazione del procedimento davanti al giudice di pace, dove la costituzione dell’attore avviene ora con il deposito del ricorso e la citazione è stata eliminata.
Questo cambiamento, unito alla cronica mancanza di personale nei tribunali, ha portato in alcune aree del Paese a una vera paralisi giudiziaria. Non sorprende, dunque, che gli avvocati napoletani abbiano protestato lo scorso 13 dicembre, chiedendo la reintroduzione dell’atto di citazione. La riforma, con le sue criticità e ambiguità, non solo ostacola l’accesso alla giustizia, ma mina anche il ruolo storico dell’avvocato, pilastro della società italiana da 150 anni.
In definitiva, se l’obiettivo del legislatore era modernizzare il processo civile in linea con le direttive europee, il risultato sembra andare nella direzione opposta: un sistema più complesso, incerto e difficile da gestire, che rischia di allontanare la giustizia dai cittadini.
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