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Dumas a Napoli tra politica, letteratura e giornalismo

Dal 1860 al 1864 a Napoli, poi a Parigi con l'amico Eugenio Torelli Viollier, futuro ideatore e cofondatore del Corriere della Sera

Dumas a Napoli tra politica, letteratura e giornalismo

Tra pochissimi giorni potremo assistere, su Rai1, ad una nuova rilettura, speriamo interessante, del famoso romanzo di Alexandre Dumas “Il Conte di Montecristo”. Traggo lo spunto da questa notizia per raccontare qualcosa circa il particolare rapporto che lo scrittore francese intrattenne con la nostra città, amata e odiata come sempre accadeva nella speciale relazione emotiva che i viaggiatori ottocenteschi d’oltralpe hanno intrattenuto con Napoli. Alexandre Dumas, dopo una breve permanenza turistica nel 1835, trascorrerà alcuni anni della sua vita, dal 1860 al 1864 a Napoli cui dedicherà anche un’immancabile “Storia dei Borboni di Napoli”, il romanzo “La Sanfelice” e i godibilissimi racconti de “Il Corricolo”. Lo scrittore imponente nel fisico e nella prolificità letteraria è stato senz’altro un personaggio particolare che ha attraversato il XIX secolo non limitandosi a creare romanzifamosi come Il Conte di Montecristo o la saga de I tre Moschettieri, ma scrivendo circa trecento opere e viaggiando senza risparmiarsi per soddisfare la sua sete di conoscenza e la sua irrequietezza caratteriale.

È stato davvero un viaggiatore instancabile che non ha mancato di lasciarci le sue impressioni sulla Svizzera, sulla Russia fino al Caucaso, sulla Spagna, sul Sinai e poisull’ Italia, dove è arrivato per la prima volta nel 1835, in compagnia di un’attrice che diventerà sua moglie, di un pittore e di un cane, precedutoda una sulfurea fama di sovversivo e di rivoluzionarioche non mancò di mettere sempre in allarme le occhiute polizie europee. Quando arrivò a Genova, fu subito invitato a sloggiare dai funzionarisabaudi e allora si recò primain Toscana e poi a Roma e da lì chiese al rappresentante del Regno delle Due Sicilie unlasciapassare per venire a Napoli che gli vennepuntualmente negato. Senza batter ciglio, il nostro siprocurò un passaporto falso e,viaggiando sotto altro nome,arrivò a Napoli da dove scrisse una lettera, quasi di sfida, a quel diplomatico borbonicoche gli aveva negato il visto. Ma poi, avendo incontrato un tale che lo conosceva e che certamente lo avrebbe denunziato alle autorità, pensò di lasciare subito la città per raggiungere la Sicilia, noleggiando un peschereccio.

Nelle sue Memorie affermò di essersi reso latore, in quel viaggio, di messaggi riservati per i carbonari siciliani che gliavrebbero affidato un piano segreto di carattere insurrezionale per il fratello di Re Ferdinando II, che però nonse la sentì di prendere l’iniziativa. Ma non sappiamo quanta parte di verità ci sia in questa narrazione e quanto invece sia da attribuire alla fantasia dello scrittore e alla sua congenita propensione all’esagerazione dei fatti. Sappiamo per certo, invece, che i Borboni di Napoli erano particolarmente invisi a Dumas per ragioni personali legate alle sofferenze di suo padre, il Generale Thomas Alexandre Davy de la Pailletterie, un colosso mulatto alto quasi due metri che aveva partecipato alla spedizione in Egitto di Napoleone per poi giungere fortunosamente a Taranto nel 1799 ed essere catturato dalle forze “sanfediste” fedeli a Ferdinando IV che lo imprigionarono, lo tennero in condizioni disumane per due anni, lo sottoposero a sevizie etorture e lo rilasciarono, infine, in condizioni di salute pessime che rapidamente lo portarono alla morte, quando il piccolo Alexandre aveva appena quattro anni.

Fuggito da Napoli per andare in Sicilia, come abbiamo accennato, Dumas vi ritornòpiù tardi ed ebbe modo di visitare bene la città e i dintorni, raccontandosuccessivamente le sue esperienze e le notizie raccolte in scritti godibilissimi per il lettore, ma zeppi di luoghi comuni, stereotipi e fantasie, tutte immancabilmente condite dalla consueta buona dose di divertenti, ma evidentissime esagerazioni. Dopo una quindicina di giorni da questo ritorno a Napoli la polizia lo fermò e non venne arrestato solo grazie all’intervento tempestivo e provvidenziale dell’Ambasciata francese. Espulso dal Regno, viritornò soltanto molti anni dopo, nel 1860, insieme alle truppe garibaldine di cui aveva appoggiato la causa con entusiasmo, soprattutto perché affascinato dalla figura di Garibaldi e dalla sua fama di uomo di coraggio e di azione, oltre che di ideali repubblicani.

Garibaldi gli propose di fondare un giornale, “L’indipendente”, che uscirà a Napoli l’11 ottobre 1860. Dumas finanzierà a spese sue il quotidiano che denuncerà i mali vecchi e nuovi del Meridione, suscitando aspre polemiche politiche anche perché, venduto a un costo inferiore, L’indipendente sottraeva lettori agli altri giornali che già mal sopportavano la presenza di un proprietario-direttore straniero che fra l’altro era stato nominato da Garibaldi pure Direttore onorario del Museo archeologico e degli scavi di Pompei. La sede del giornale si trovava proprio al Chiatamone, nell’allora Casino Reale e Dumas abitò proprio in quella palazzina fino al 1863. Lasciò la direzione del quotidiano nel 1864, tra uno stillicidio di malumori e polemiche d’ogni tipo, per ritornare a Parigi insieme a un napoletano suo fidato e validissimo collaboratore, di cui si parlerà poi molto negli anni a venire: Eugenio Torelli Viollier, il futuro ideatore e cofondatore del Corriere della Sera.

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