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Lo speciale di Charlie Hebdo dieci anni dopo la tragedia

Il 7 gennaio 2015 un commando di terroristi armati irruppe nella sede del settimanale satirico parigino uccidendo dodici persone e ferendone altre quattro

Lo speciale di Charlie Hebdo dieci anni dopo la tragedia

Dostoevskij scrutava l’ironia con una lente d’ingrandimento. Per lui, “la tragedia e la satira sono sorelle e vanno di pari passo; tutte e due prese insieme si chiamano verità”.

Riflettevo su queste parole a dieci anni dalla tragedia di Charlie Hebdo, 7 gennaio 2015, quando un commando di terroristi armati irruppe nella sede del settimanale satirico parigino, uccidendo dodici persone e ferendone altre quattro. Una delle pagine più amare del giornalismo del dopoguerra.

Motivo del blitz, una prima pagina ironicamente dedicata al profeta Maometto e la pubblicazione su Twitter di una vignetta sul leader islamico Abu Bakral – Baghdadi. Casualmente, ero in quei giorni nella capitale francese. Lo sconcerto e la tragicità di quelle ore le vissi in prima linea. Quattro milioni di persone scesero in piazza, a sostegno della rivista e della libertà d’ lespressione. “Je suis Charlie”, questo il grido asfissiante che si levava dai cortei.

Coraggiosamente, una settimana dopo, il settimanale tornò in edicola, per dimostrare che la sua voce non si era spenta. In copertina, un Maometto triste, con le lacrime agli occhi, mentre sorregge il cartello di “Je suis Charlie“, sotto un titolo nobile e aristocratico “Tutto si perdona“.

La tiratura fu di 7 milioni di copie, in 16 lingue, tutte esaurite. Ricordo la lunga fila e la rissa alle edicole. Conservo ancora, da qualche parte, una copia originale di quel numero. Mentre in Italia Il Fatto Quotidiano lo allegò al giornale, vendendo oltre 500mila copie. L’opinione pubblica mondiale si schierò, allora, accanto a quei morti.

E oggi, dieci anni dopo, nelle edicole francesi, uscirà un numero speciale di 32 pagine con una raccolta di 40 caricature su Dio tra le 350 ricevute nel concorso internazionale proposto alla fine dello scorso anno. “Se abbiamo voglia di ridere, abbiamo voglia di vivere“, commenta nel suo editoriale il direttore Riss, al secolo Laurent Sourisseau.

Un modo per rispondere al progresso scorsoio di questi anni che non ha allontanato lo spettro del terrorismo. Il rapporto con l’immigrazione di massa, la diversità, il multiculturalismo è paradossalmente peggiorato. Mentre integrazione, ormai, fa sempre più rima con disintegrazione. 

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