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Sulla soglia della Casa Bianca ma Trump già modifica il mondo

Non si comprende tanto entusiasmo, da un lato, e tanta preoccupata gelosia, dall’altro, per una “missione" del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Florida da Donald Trump

Sulla soglia della Casa Bianca ma Trump già modifica il mondo

Donald Trump e Giorgia Meloni

Non si comprende tanto entusiasmo, da un lato, e tanta preoccupata gelosia, dall’altro, per una ‘missione’ del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Florida da Donald Trump. Un’andata e ritorno di poche ore, nella scia di simili arrivi. Accoglienze gioiose, complimenti, tete-à-tete, brevi conclusioni e ripartenze di altri leader.

Dall’argentino Javier Milei all’ungherese Viktor Orbàn, persino al canadese Justin Trudeau preso in giro fino al giorno prima dall’ex-neo inquilino della Casa Bianca e che ieri ha dato le dimissioni: l’ultima vittima della vittoria di Trump a novembre. Non è ancora rientrato alla Casa Bianca e da Bucarest a Tbilisi, da Parigi a Berlino, da Vienna (ieri) a Ottawa (sempre ieri) e alla stessa Kiev è una serie di scosse sismiche politiche destinate ad acquietarsi o a preannunciare un terremoto. Vedremo.

Per ora sappiamo che Trump subentra finalmente a un Joe Biden che ha dischiuso le porte della Nato all’Ucraina di Volodymyr Zelensky e quelle della guerra più suicida economicamente e strategicamente all’Europa. Peccato ch’abbia ricominciato un tantino a straparlare: subito dopo la seconda richiesta d’acquisto della Groenlandia, ecco quella sul Canada cinquantunesimo Stato Usa. Ragioni geostrategiche ed economiche concrete, ma inopportune.

Missione, quella di Giorgia Meloni, spiegata con la necessità di “salvare” una giornalista italiana che non pare sia in pericolo di vita e neppure rinchiusa nel reparto dei torturandi a morte della famigerata prigione di Evin a Teheran, bensì in una cella che sarà pure inospitale ma, utile merce di scambio, le si permette forse di sfogliare qualche libro. Pare. Perché nessuno lo sa con certezza e bisogna accontentarsi di quanto propalano i preti fanatici tiranni dell’Iran.

Resta che l’accoglienza con tutti gli onori da parte del non ancora inquilino della Casa Bianca testimonia che la nostra premier raccoglie anche negli Usa i frutti della sua ‘rendita di posizione’. Posizione mediana nel campo conservatore. Una scelta che a Bruxelles la vede tra centro e destra, pure come eventuale ponte tra i Popolari e i Patrioti.

A meglio capirci, tra i centristi che sostengono Ursula von der Leyen e la destra rappresentata dall’ungherese Viktor Orbàn e lo slovacco Robert Fico, via via affiancati da altri leader che nel Vecchio Continente s’affacciano ormai sulle e dalle stanze del potere. Scelta che ha permesso a Giorgia Meloni di guadagnare la vicepresidenza del Consiglio europeo con Roberto Fitto. Scelta da ‘rendita di posizione’ che tenta anche in America, dove s’è posta a metà strada tra Joe Biden e Donald Trump. Con scrupolosa attenzione a tempi e modi.

A Washington ha, da un lato, guadagnato un bacino in fronte dal presidente uscente, grato per il suo atlantismo filo-ucraino, declamato e tutto sommato ponderato, e, dall’altro, ha conquistato l’apprezzamento del presidente entrante, forte dei rapporti stretti con Elon Musk e delle buone relazioni tra i rispettivi partiti conservatori. La presidente del Consiglio italiano garantisce realismo ed elasticità di movimento negli affari esteri ma in confini politici ben definiti.

La crisi che attraversano la Francia e la Germania, mente e motore dell’Unione europea, pone l’Italia come potenziale forza di stabilità: sia per il governo futuro dell’Ue, che risentirà del risultato delle prossime elezioni anticipate tedesche; sia per il negoziato che si prospetta sull’Ucraina.

Trattative che dividono l’Europa, la settentrionale e la centromeridionale, ma che potrebbero segnare una riapertura di dialogo con la Russia, tanto più auspicabile se si consideri il dilagare dell’imperialismo ‘commerciale’ di Pechino. Un espansionismo che stravolge le regole di una globalizzazione armoniosa e pacifica e pertanto non rafforza la stabilità. Tanto più che s’accompagna a un preoccupante potenziamento delle forze militari marittime, nucleari e spaziali.

La Cina segue con costanza una direttrice inaugurata da Deng Xiaoping (studi in Francia come altre personalità asiatiche) pochi anni dopo la morte di Mao. Perseguita nell’ultimo ventennio del secolo scorso e sostanzialmente in questo primo quarto di secolo, sebbene declinata con le modifiche dettate dalle situazioni geoeconomiche e geo-strategiche, dalle lotte di potere, dalle personalità dei leader.

Resta una costante, di là dalle difficoltà che attraversa per l’eccesso di produzione, la modestia del consumo interno e le conseguenze della crisi derivante dalla passata speculazione immobiliare. La Cina amplia la propria influenza in Africa mentre consuma a morsi, quasi fosse una mela troppo matura, la stessa ‘dottrina Monroe’ in America latina.

Da come Trump vorrà e potrà affrontare la nuova “altra superpotenza” dipende in buona parte il destino non solo dell’Ucraina ma pure dell’Europa. Ma se ora nel Vecchio Continente persino Zelenski si sente costretto a parlare di Trump quale possibile corifeo di pace, in Medio Oriente ci si interroga sulla via che percorrerà. È presto per dire se la Siria sia o meno passata dalla guerra civile alla pacificazione forzata,oppure sia caduta dalla padella nella brace.

All’estremismo sciita pare sommarsi quello sunnita, che riemerge in panni neo-ottomani dalla ridotta nella quale era stato isolato, grazie a russi, curdi e milizie filo-iraniane. Sarebbe confortante immaginare che - grazie all’interesse di Trump o per timore del suo disinteresse - l’Occidente cominci a condividere una visione e una strategia, dopo aver confermato Israele come proprio bastione nelle terre e nei deserti spazzati dalle sempiterne tempeste di egemonismi regionali inalberanti le bandiere di contrapposti islamismi. 

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