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IL NOSTRO POSTO
22 Gennaio 2025 - 09:16
Il cinema Metropolitan in via Chiaia
Difficile spiegare a chi non è napoletano - ma anche ai più giovani - tutto quello che ha significato nel Nostro Posto, per centinaia d’anni, il Banco di Napoli, simbolo della nostra cultura e della nostra identità. E come questi sentimenti siano ancora fortissimi in tanti di noi a distanza di decenni da quando il Banco di Napoli ci è stato letteralmente scippato e, dopo una serie di passaggi, inglobato da Intesa Sanpaolo per poi cessare di esistere, nel nome, nella forma, nella sostanza.
Una conclusione inaccettabile per la più antica banca al mondo, nata nel 1463, come “Banco della Pietà”, per volontà di tre nobiluomini napoletani, con lo scopo di concedere prestiti su pegno, senza interessi. Dunque, un fine “illuminato” ante litteram, di altissima importanza sociale, esattamente il contrario di quanto accade oggi, con un sistema bancario che appare ispirato ad un solo valore, il profitto, e che opera con un solo sentimento, il cinismo.
Il Banco di Napoli invece è stato una banca al servizio del territorio, uno strumento di sostegno all’economia campana e meridionale, un “operatore” che valutava le prospettive di un’iniziativa per finanziarla guardando in faccia a chi la proponeva, senza lasciarsi condizionare da “parametri” e algoritmi finanziari. Solo una banca come il Banco di Napoli, per esempio, poteva rilasciare ad una società calcistica finanziariamente gracile come il Calcio Napoli di Corrado Ferlaino - a prima richiesta, nel giro di qualche ora e senza garanzie - una fideiussione di 13 miliardi di lire per comprare Diego Armando Maradona.
Attenzione, quello non fu però l’atto di una banca “tifosa”, ma la decisione, lungimirante, di dirigenti che sapevano che l’acquisto del calciatore più forte del mondo, specie a Napoli, sarebbe stato un volano anche economico, non solo sociale e calcistico. E quindi quei soldi sarebbero certamente ritornati indietro, ma - grazie a quella fideiussione - anche l’intera economia di un territorio ne avrebbe tratto giovamento.
E così è stato. Chissà se questo approccio alla finanza - oltre all’assenza di una classe politica adeguata - ha giocato un ruolo nella scelta di cancellare il Banco di Napoli dalla scena finanziaria, nazionale e internazionale. Vale comunque la pena di raccontare la storia della sua svendita.
Tutto comincia nel lontano 1996, per volontà di Massimo D’Alema e di Carlo Azeglio Ciampi, nell’indifferenza dell’allora sindaco di Napoli, Antonio Bassolino, o quantomeno nella sua impotenza. Ciampi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia, attraverso i suoi ispettori, dichiarò inesigibili (falsamente, come i fatti hanno poi dimostrato) i crediti del Banco di Napoli e, contestualmente, lo svendette alla Banca Nazionale del Lavoro per 61 miliardi di lire.
Un’operazione congegnata da principio per salvare proprio quella banca - che invece era davvero sull’orlo del crac, ma godeva del sostegno dei poteri forti - perché BNL a sua volta vendette subito le quote del Banco di Napoli per 3.600 miliardi! Avete capito bene: 3600 miliardi contro 61. Da allora è andata sempre peggio. Il Banco di Napoli è stato trasformato in un mero “figurante” del sistema bancario, sino alla definitiva scomparsa persino del marchio e del nome, archiviato definitivamente da Intesa Sanpaolo il 26 novembre del 2018. Insomma è stato un vero e proprio sacco di Napoli, questa è la verità. È finita qui? Pare proprio di no.
Il saccheggio, sistematico, di ciò che resta di questo inestimabile patrimonio - economico, oltre che morale - pare non arrestarsi mai. Infatti, Intesa Sanpaolo dopo aver piazzato un bistrot nella sede del Banco di Napoli in via Toledo, con inarrivabile arroganza anche del simbolismo della propria scelta, adesso sta per privare la collettività di un altro pezzo della cultura e della storia del capoluogo: il Cinema Metropolitan di via Chiaia, che si trova nel complesso di Palazzo Cellammare, struttura dalla bellezza mozzafiato, del XVI secolo.
Per una manciata di milioni - spiccioli se consideriamo il bilancio miliardario della banca - Intesa Sanpaolo, proprietaria dei locali che ospitano il multisala, lo ha letteralmente svenduto, decretando la morte di un altro simbolo di Napoli, oltre a gettare per strada 10 lavoratori e le loro famiglie. Quanto cinismo e quanta indifferenza - lo ribadisco - dimostra un'azione del genere, che punta soltanto a fare cassa, per giunta in totale contrasto con i principi, anche morali, della Fondazione pubblica che controlla l’istituto di credito in questione.
Noi ci opporremo in tutte le sedi opportune perché non si compia l’ennesimo sfregio nei confronti della nostra città. Non resteremo in silenzio e fin da subito abbiamo aperto la discussione su una vicenda che deve essere affrontata dalle Istituzioni, come da tutti i player in campo, in maniera trasversale, al di là dei colori politici e dell’appartenenza.
Per questo motivo proporremo in Consiglio regionale ogni iniziativa possibile nei confronti di una banca - e in generale di un sistema bancario - che per profitto, finanche assai modesto, arriva a passare sopra ogni tipo di valore e alla corale richiesta di un’intera comunità. Bisogna muoversi compatti e uniti dallo stesso intento, anche perché questo non è un problema che riguarda soltanto il Nostro Posto o il Sud, ma tutta l’Italia.
C’è il rischio reale che si continui a perdere il controllo delle azioni di istituti che rappresentano la storia della nostra economia, della nostra società, della nostra Penisola, della nostra sovranità finanziaria, persino a vantaggio di gruppi e investitori stranieri.
A tal proposito va tenuta alta l’attenzione su quanto sta interessando Generali. Mi riferisco all’operazione - passata pericolosamente sotto silenzio - che, dietro l’apparenza di un’alleanza fra il colosso assicurativo italiano e Natixis, gruppo bancario transalpino, pare disegnata per collocare in una posizione di subalternità Generali rispetto alla società francese, consegnandole quindi la gestione dell’enorme patrimonio affidato da qualche milione di italiani ad un altro simbolo del nostro sistema finanziario.
Non possiamo far sì che ciò accada, non possiamo permettere che si compiano gli stessi errori fatti da quella politica miope e complice che, in pochi anni, ha permesso supinamente lo“smantellamento” della Fiat, dietro l’ingannevole e finta immagine della sua internazionalizzazione. Chi non agisce adesso per il bene dell’Italia e degli italiani, dopo non si lamenti.
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