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Quella strana coincidenza: Anno giudiziario e Giubileo

Occorrono regole certe, che valgano per tutti, anche per i magistrati

Quella strana coincidenza: Anno giudiziario e Giubileo

Papa Francesco

Forse non è solo una coincidenza, una straordinaria coincidenza, il fatto che il Giubileo della comunicazione si sia tenuto proprio nelle stesse ore in cui alle inaugurazioni dell’Anno giudiziario i magistrati protestavano apertamente contro la riforma sulla separazione delle carriere. È lì, in quelle maestose aule giudiziarie, dentro gli animi di uomini e donne avvolti da sontuose bardature rosse, che sarebbe dovuto risuonare l’appello accorato di Papa Francesco per la liberazione dei giornalisti: “Sia aperta loro una porta per la libertà!”.

È chiaro che il Pontefice si riferiva a coloro che sono stati reclusi in diverse parti del mondo mentre stavano facendo il loro dovere, i casi come quello di Cecilia Sala, così come quelli di altri che, peggio ancora, nell’adempimento del loro compito hanno perso la vita in guerra, o sono caduti sotto i colpi dalle delle mafie.

Ma proprio per questa singolare coincidenza è necessario oggi, all’indomani delle due, contemporanee celebrazioni, onorare il ricordo dei tanti giornalisti italiani che la vita, la libertà, la dignità e la reputazione l’hanno persa in Italia, non per gli assalti del fanatismo islamico né per mano dei terroristi di Hamas, bensì per le sentenze di una certa parte della magistratura, torva, onnipotente blindata nei suoi privilegi, pronta a scrivere pagine che gridano vendetta, anche contro il buon senso comune, pur di silenziare i giornalisti scomodi, specie quelli che avevano osato mettere in discussione quelle feudali guarentigie del potere giudiziario che esistono solo in Italia.

Il pensiero va non solo ad alcuni grandi nomi del giornalismo italiano prematuramente scomparsi per fulminee malattie proprio mentre infuriava un’assurda guerra giudiziaria che li vedeva sul banco degli imputati per presunta diffamazione (il “grimaldello” sempre utile a tacitare gli impiccioni), ma anche ai tanti, oscuri cronisti che, nel silenzio generale, sono stati privati di tutti i loro beni per inconcepibili “provvisionali” da cinquemila o diecimila euro, comminate anche dieci anni dopo la pubblicazione dell’articolo “incriminato”, esecutive a vita, con un fine pena mai.

Senza contare le sentenze in sede civile, che già in primo grado ti possono togliere anche l’osso del collo. È giusto che se un giornalista sbaglia debba pagare, come chiunque. Ma occorrono regole certe, che valgano per tutti, anche per i magistrati. E bisognerebbe dare la sveglia anche alle sigle di categoria, nessuna delle quali si è mai battuta seriamente affinché la nostra legge sulla stampa torni ad essere degna di un Paese civile, come avviene nelle altre Nazioni d’Europa.

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