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CARTE DA VIAGGIO
28 Gennaio 2025 - 09:52
Omar Sivori con la maglia del Napoli
Gianni Agnelli, che di calcio se ne intendeva, non aveva dubbi: “Sivori è un vizio“. Tra qualche giorno saranno 20 anni che il Cabezon ci ha lasciato ma la sua leggenda vive ancora a Napoli come a Torino, in Argentina come in Italia. Come Maradona il suo calcio è stato sogno, poesia, numeri e scintille. Erano tempi in cui mediaticamente non esisteva la copertura odierna.
Pochissima tv, un po' di radio, riviste e quotidiani. Ma il genio e la follia di Omar erano uno straordinario biglietto da visita per ogni tifoso. Sivori arriva a Napoli nel 1965, sta meditando di tornare in Argentina quando a casa sua piomba Bruno Pesaola, un oriundo come lui, figlio di uno “zapatero“, un calzolaio di Avellaneda. Ma il Cabezon resiste. Ha rotto con Heriberto Herrera, il suo allenatore, e dopo 259 partite e 174 gol in maglia bianconera vuole chiudere con l’ Italia.
Ma, dopo mille ritrosie, il Petisso lo convince. Le difficoltà finanziarie sono tante ma il presidente Lauro le supera, prenotando alla Fiat i motori delle navi Angelina Lauro ed Achille Lauro. È l’apoteosi. Nel frattempo arriva anche JosèAltafini, in rotta col Milan e con Viani. È un Napoli stellare. Omar non ama l’aereo. Arriva a Napoli in treno, alla stazione di Mergellina. Lo attendono 10mila persone, la folla si riserva sui binari e lui deve sgusciare da una finestra della stazione per scappar via. Gli abbonati saranno 69.344, record dei record, molti non riusciranno a comprare quei magici tagliandi.
Il Napoli neopromosso lotta per lo scudetto, 9 punti in 5 giornate, quando la vittoria valeva due lunghezze. Mentre Omar diventa protagonista di un film, “Idoli controluce“, con Massimo Girotti e Valeria Ciangottini,tenendosi sempre lontano dai tentacoli delle brutte amicizie. La squadra gioca con 4 punte: Canè, Altafini, Sivori e Bean e inventa il libero fluidificante, Ronzon. Arriva terza, dietro Inter e Bologna e, in estate, vince la Coppa delle Alpi.
Poi, fino al 1968, altri 3 anni di magie, risse, vendette per un totale di 76 presenze e 16 gol tra Coppe e campionato. Ma Omar è stanco, adesso vuol chiudere davvero. Il 6 dicembre, dopo l’ allenamento, raduna i giornalisti al San Paolo e annuncia il suo ritorno in Argentina. E il 22, nel suo stadio, alla fine di NapoliAtalanta saluta i tifosi. Gli saranno tributati 11 minuti di applausi. Lascia l’Italia dopo aver prodotto un calcio anarchico, ribelle, visionario.
Nella Juve ha segnato più di Platini, in assoluto ha segnato anche più di Maradona (media gol 0,623 contro 0,41% di Diego). Si sistema a San Isidro, a 25 chilometri da Buenos Aires. A San Nicolas possiede due fattorie. La prima la chiamerà Juventus, ha il marchio di una zebra. La seconda, la preferita, è Napoli. Poi, altre cento storie. La segnalazione per l’acquisto di un giovanissimo Maradona alla Juventus, il ruolo di Commissario tecnico della nazionale argentina, la morte del figlio Umberto per un male incurabile.
Gianni Agnelli gli aveva chiesto un’ultima cortesia: “Mi cerchi un altro Sivori“. Omar non ci riuscirà. Il suo calcio, del resto era irripetibile. Magico, inimitabile, una vertigine. “Era como un Dios“ suggerirà l’amico, centrocampista Luis Del Sol, consegnandolo alla storia del calcio. Nasce lì il mito e la leggenda del Cabezon.
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