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il ricordo

Il giornalista-ultrà che conquistò il Corriere della Sera

Il giornalista-ultrà che conquistò il Corriere della Sera

Fabio Postiglione

Dolore, sconcerto, profonda tristezza. Non trovo altre parole per descrivere ciò che provo di fronte alla tragica scomparsa di Fabio Postiglione, uno dei talenti più autentici della nuova generazione del giornalismo campano. Era approdato al “Corriere della Sera”, seguendo quel percorso che in passato aveva portato tanti giornalisti del Sud al Nord, consacrandone il successo. Ma per Fabio, il sogno raggiunto si è trasformato in tragedia: il viaggio a Milano, tanto sperato e meritato, si è spezzato all’improvviso, in una notte crudele, mentre rientrava a casa dal giornale di via Solferino. La sua moto si è schiantata contro un minivan e così, dopo una lunga giornata di lavoro, Fabio ha trovato la morte sulle strade della fredda città.

C’era un tempo in cui il giornalismo pullulava di giovani aspiranti, pronti a sacrificarsi per un mestiere che amavano profondamente. Erano anni in cui le redazioni e le tipografie erano veri e propri cantieri di passione, dove chi voleva fare questo lavoro sapeva che sarebbe passato attraverso il duro apprendistato dell’abusivismo, con la speranza, prima o poi, di ottenere un’assunzione. Nonostante le attese estenuanti, si creavano legami forti, un senso di appartenenza che diventava patrimonio di ogni testata. Poi la crisi dell’editoria ha allontanato molti ragazzi da questo mestiere, ma alcuni, sfidando ogni difficoltà, sono riusciti a conquistare il loro posto. Fabio era tra questi: determinato, tenace, pronto a lottare per affermarsi, senza cedere mai. Era diventato un punto di riferimento per il giornalismo giudiziario, grazie alla sua serietà, al rigore e alla capacità di raccontare la realtà con una scrittura limpida, senza eccessi.

Per questo la redazione del “Roma” ha voluto rendergli omaggio dedicandogli le prime due pagine di Primo Piano, un tributo riservato solo a chi ha lasciato un segno indelebile. Fabio era uno di noi, uno “scugnizzo” che si faceva amare per la sua simpatia, per il sorriso accattivante che lo accompagnava sempre. Gli attestati di stima, di affetto e di dolore sono stati così tanti che ci sarebbe voluto un intero giornale per pubblicarli tutti. Li ho letti uno per uno e li trasmetterò a sua moglie Valentina, che ieri, alle prime luci del giorno, mi ha telefonato in lacrime per dirmi: “Il tuo Fabio è morto”. Sì, il mio Fabio. Mi era stato “affidato” da suo zio Enzo Aprea, dipendente Rai scomparso anni fa, perché voleva diventare giornalista. Entrò subito nel cuore di tutta la redazione e, con il suo entusiasmo, dimostrò immediatamente di avere stoffa: ogni giorno tornava con una notizia, conquistandosi un posto nella cronaca giudiziaria, accanto a maestri come Sergio Califano, Luigi Sannino, Leandro Del Gaudio e Giovanni Cosmo. Il praticantato arrivò con pieno merito, ma portò con sé anche il peso delle minacce di morte, degli inseguimenti, dei vetri rotti dell’auto, dei tentativi di furto della moto. Fabio aveva toccato gli altarini scomodi della criminalità organizzata e, anche senza scorta, aveva continuato a fare il suo mestiere, con la sola protezione di una sorveglianza speciale nei tragitti tra la redazione di via Chiatamone e casa.

Ci legava una stima reciproca che sconfina oggi nei ricordi più sinceri. Sento di dover svolgere il nastro all’indietro per meglio spiegare certi irriducibili valori. Come posso non ricordare la telefonata di Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, che mi chiese il nome di un giovane in gamba da affiancare nella giudiziaria a Titti Beneduce. Non ebbi dubbi: suggerii il nome di Fabio Postiglione. In poco tempo conquistò la fiducia di tutti e iniziò la sua scalata: responsabile della momentanea redazione lucana quando Matera era capitale della Cultura, il ritorno a Napoli, poi il volo a Milano. Quella Milano che aveva conosciuto solo da ultrà del Napoli, nelle trasferte per le “battaglie” con Inter e Milan. Conservo gelosamente la foto che mi inviò quando prese possesso della sua scrivania al Corriere: intorno a lui solo sciarpe, bandiere e gagliardetti azzurri.

Il Napoli era la sua passione, solo un gradino sotto Valentina Trifiletti, la stagista del “Roma” che aveva strappato alla Sicilia per portarla all’altare. Sognavano una vita felice insieme, ma la vita sa essere crudele e riserva sorprese che nessuno vorrebbe affrontare. Ora non resta che aspettare il suo ritorno a Napoli, per l’ultimo saluto. Nel frattempo, abbraccio mamma Anna, suor Michela – la zia che Fabio tanto amava –, i fratelli Gennaro e Carlo, e quei quattro piccoli “moschettieri”, Bruno, Leandro, Lorenzo e Fiorenza, i suoi adorati nipotini. E poi Valentina, la stagista che ho visto crescere fino a diventare una professionista di Mediaset. A lei va tutto il mio affetto.

Addio, Fabiolino. Resterai per sempre nel mio cuore.

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