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02 Febbraio 2025 - 10:35
Tommaso Foti
Lo scorso 7 gennaio Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e per il Pnrr, ha diffuso dei dati importanti. Uno di questi, in particolare, è fondamentale: “La spesa effettiva dei fondi Pnrr si attesta a circa 60 miliardi di euro”. È, di fatto, la certificazione del parziale flop del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il termine di scadenza è infatti stabilito per la fine di giugno del 2026 e, per poter spendere tutte le risorse assegnate dalla Ue all’Italia, tra contributo a fondo perduto e prestiti, bisognerebbe in diciotto mesi utilizzare la bellezza di 130 miliardi, più del doppio di quanto si è fatto in cinque anni.
Le responsabilità del ministro Foti, a questo riguardo, sono praticamente nulle, visto che è entrato in carica da pochi mesi, e al suo stesso predecessore Fitto si può imputare per lo più solo un eccesso di ottimismo, non avendo mai preso ufficialmente in considerazione l’ipotesi che l’impegno complessivo di spesa, pur con gli aggiustamenti di tiro effettuati, non potesse essere portato a termine. Maggiori appaiono le ‘colpe’ dei governi Conte e Draghi, che troppo tempo hanno impiegato per individuare le opere e consentire che il piano divenisse finalmente operativo.
A febbraio il Governo Meloni cercherà con Bruxelles un accordo per una rimodulazione degli interventi, sulla falsariga di quello già ottenuto da Fitto nel corso del suo mandato. Saranno depennate opere irrealizzabili nei tempi fissati, sostituite con altri interventi. Per quanto si possa essere ottimisti, tuttavia, autorevoli esperti come Ercole Incalza sottolineano che, alla fine di giugno del prossimo anno, al massimo potranno essere stati spesi tra gli 80 e i 90 miliardi di euro. Equivale a dire che un centinaio di miliardi saranno rispediti al mittente, senza tenere in conto l’eventualità che Bruxelles possa infliggere sanzioni all’Italia per il parziale fallimento dell’obiettivo.
Il danneggiato maggiore per il flop Pnrr sarà, in ogni caso, il Mezzogiorno. Come ha rimarcato Foti, il governo intende rispettare il vincolo del 40% per il Sud, “anche perché il Mezzogiorno ha dimostrato di utilizzare al meglio i fondi e di farne volano per una crescita” che, nel 2024, “è stata superiore a quella del Nord”. Parole che, involontariamente, hanno il sapore di una beffa. Se, invece del 40%, al Sud fosse stato concentrato il 70-75% e tutte le istituzioni avessero puntato a ridurre drasticamente il gap territoriale grazie al Piano, con tutta probabilità si sarebbe evitato di perdere una straordinaria occasione per l’Italia.
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