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la riflessione
08 Febbraio 2025 - 09:51
Castel Sant'Elmo
I Sanseverino furono condottieri, alti prelati, ammiragli. Potenti come uno Stato, possedevano un proprio esercito e avevano il dominio d’intere regioni dell’Italia meridionale. Roberto Sanseverino, nel 1465, si distinse al comando della flotta aragonese nella vittoriosa battaglia di Ischia contro gli Angioini. Il suo ritorno trionfale è immortalato nella famosa Tavola Strozzi, conservata nel Museo di San Martino: il primo dipinto “a volo d’uccello” della città di Napoli. Fu Roberto stesso che nel 1470 fece costruire da Novello di San Lucano il palazzo di famiglia in Piazza del Gesù, primo esempio in Italia di edificio a punta di diamante del quale sono rimaste solo le mura perimetrali nel cortile del liceo Genovesi e all’interno dell’adiacente istituto Pimentel Fonseca e, soprattutto, la facciata di quella che oggi è la Chiesa del Gesù Nuovo.
Lì, Ferrante Sanseverino, il cui segretario era Bernardo Tasso, padre del poeta Torquato, costituì con la moglie Isabella un’Accademia letteraria, un circolo intellettuale di menti “aperte” in cui si muovevano personaggi che esprimevano idee spesso eterodosse e controcorrente se non addirittura eretiche frequentato da poeti, musicisti, prosatori e al quale partecipavano loro stessi con propri componimenti. I Sanseverino erano così potenti e rispettati che, quando Carlo V tornò dalla vittoria di Tunisi contro gli Ottomani, nel 1535, fu ospite nel palazzo di Ferrante che aveva partecipato all’impresa. L’Imperatore vi rimase tre giorni, tra feste, pranzi, balli e fuochi d’artificio e strinse amicizia con Isabella, colpito dalle sue doti di cortesia e intelligenza fuori dal comune.
Anni dopo la Spagna impose a Napoli il Tribunale dell’Inquisizione, ma la città si ribellò perché non volle accettare la cancellazione delle libertà e delle prerogative che le appartenevano. Vi furono scontri armati, numerosi morti e Napoli fu anche bombardata dai cannoni dei vari castelli, tra i quali quello che più la sovrastava: Sant’Elmo. A capo del movimento contro l’Inquisizione c’era Ferrante, che era riuscito a riunire nobiltà e popolo. Temendo la pericolosa saldatura fra i due ceti contro la Corona, Carlo V acconsentì alla richiesta di revoca del provvedimento e il Tribunale dell’Inquisizione non fu istituito. Forte di questo successo, Ferrante inviò un proprio rappresentante presso Carlo V per trattare e discuteredi giustizia, ma l’Imperatore ne fu molto irritato, mal tollerando che un Sanseverino osasse ribellarsi all’ autorità imperiale proponendo addirittura di negoziare e chiese una punizione.
Il Viceré di Napoli, Pedro da Toledo, cui si deve l’omonima strada, approfittò dell’evento per accusare Ferrante di reati gravissimi: eresia, sodomia, furto e congiura contro il Regno di Spagna. Al momento della condanna Ferrante non si trovava a Napoli, per cui riuscì a fuggire in Francia, ma il Viceré lo espropriò di tutte le ricchezze e i possedimenti e fece abbattere il Palazzo di Piazza del Gesù, di cui rimasero solo le mura e la facciata a punta di diamante, ricoperta da misteriosi segni tracciati fra le pietre di piperno, solo recentemente decifrati e la cui storia meriterà di essere raccontata a parte, un’altravolta. Anche nei confronti di Isabella il Viceré operò una persecuzione feroce, accusandola di partecipare alla ribellione del marito, ma, non riuscendo a trovare prove, la privò soltanto di tutti i suoi beni. Ormai sola, la Principessa non rivide più il suo amato Ferrante, protetto dal sovrano di quel Regno di Francia dove rimase in esilio fino alla morte.
Le sofferenze morali e materiali piegarono la donna che partìalla volta della Spagna per chiedere giustizia al suo ammiratore Carlo V, ma dovette aspettare ben sette lunghi anni prima che l’Imperatore le desse il permesso di imbarcarsi su una nave per tornare a Napoli. Alla vigilia della partenza fu colta, si dice, da un colpo apoplettico o da un ictus non si saprà mai con certezza e morì a Valladolid. Fedele, raffinata, intelligente, amatissima dalla sua gente che compose in suo ricordo quella famosa “villanella”, canto di disperazione della sventurata che immaginarono morta in un naufragio, Isabella non è morta come tragicamente raccontato nella canzone, ma la leggenda talvolta supera la realtà e il popolo volle ricordarla in un canto triste e lungo come un pianto che racconta di una donna sola, perseguitata, infelice, privata delle sue terre e del suo amore. Ferrante e Isabella: una delle tante storie nella grande Storia della Napoli spagnola.
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