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La riflessione
10 Febbraio 2025 - 08:55
Il generale libico - non è dato sapere come lo sia diventato - Nijeem Osama Almasri, è un uomo controverso (nella migliore delle ipotesi) e certamente molto pericoloso. Per essere passato in pochi anni dalla attività di ambulante al mercato degli animali di Tripoli durante il governo di un altro generale - quel Gheddafi tanto vilipeso e bistrattato ma che forse svolgeva più di un semplice ruolo di governo in un'area demograficamente e politicamente esplosiva - a capo della polizia giudiziaria alle dirette dipendenze della magistratura e dello stesso Procuratore generale nazionale, Sadiq al-Sur, deve di certo possedere molte entrature tanto tra i vertici politici quanto tra quelli militari di quello stato islamico del nord Africa, con il quale (ricordo a me stesso) da sempre intratteniamo ottimi rapporti istituzionali, sia per la presenza sul suo territorio di Eni - principale produttore di gas in quel paese (80% del totale), dove la produzione ha raggiunto 8,5 miliardi di metri cubi di gas nel 2024, di cui 1,5 miliardi sono diretti verso l’Italia - che per il fatto che un numero non minore di nostri concittadini ci vive e ci lavora. Il nostro ineffabile signore, oggi tanto attenzionato dalla opinione pubblica italiana - per meri scopi di contrapposizione partitica e al fine di trovare argomenti mediaticamente appetibili per scalare qualche infinitesimale posizione nell'incessante elargizione sondaggistica quotidiana - ecco, il nostro ineffabile signore (dicevo), dopo aver attraversato in lungo e in largo l'Europa ed essersi perfino serenamente accomodato all'Allianz Stadium di Torino il giorno 18 gennaio scorso per assistere alla partita di campionato tra Juventus e Milan (chissà per chi avrà tifato!), viene arrestato sul territorio italiano la mattina del 19 gennaio su disposizione della Corte penale internazionale in quanto accusato di "crimini contro l'umanità" (si parla di fatto di numerosi assassini e perfino dello stupro di un bambino, avvenuti in una delle tre prigioni sotto il suo diretto controllo). A capo delle milizie e delle polizie segrete islamiche che imperversano senza alcun limite e controllo in quella nazione, in particolare a Tripoli e dintorni, osannato e temuto da tutti, dentro e fuori lo stato africano, signore incontrastato dei flussi migratori, con i quali pare giochi a rimpiattino, vendendosi i corpi almeno quanto le anime per proprio tornaconto personale, Almasri era e resta un personaggio da trattare con le pinze, altro che coraggio istituzionale. Voci di dentro del suo paese di provenienza dicono che "i massimi dirigenti a Tripoli abbiano premuto sull’Italia per ottenere il suo ritorno veloce a casa. Del resto, nessuno aveva dubbi che il governo di Roma lo avrebbe liberato. Se non lo avesse fatto, sarebbero stati ad alto rischio immediato le strutture dell’Eni, i lavoratori italiani in Libia e qualsiasi italiano si trovasse nel Paese, compresi i piccoli commercianti. La stessa ambasciata sarebbe stata presa di mira, anche con azioni violente" - hanno detto al Corriere fonti molto prossime a uno dei pezzi grossi degli apparati militari in Tripolitania. Al governo italiano non è parso vero, perciò, che Almasri venisse rilasciato meno di 48 ore dopo il suo arresto su disposizione della Corte d'Appello di Roma a causa di un errore procedurale: "si è trattato di un "arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio". L'arresto non è stato "preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito", si legge nell'ordinanza della corte di Appello di Roma, che ne ha disposto l'immediata scarcerazione. Poco dopo il suo rilascio, "nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall'Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti." Bastasse così poco a dar conto del fatto che l'Italia si è trovata coinvolta in un classico "pasticcio internazionale" (secondo Paolo Mieli anche deliberaramente) e che invece di ricevere la solidarietà di tutto l'arco costituzionale, tanto di maggioranza quanto di opposizione, si è ritrovata a doversi difendere dal "fuoco amico" (si fa per dire) molto prima e molto di più che da quello "nemico", sul territorio nazionale e non. Quando gli strali delle sinistre si saranno attenuati, resteranno (si spera) sul terreno dello scontro le vere ragioni che avrebbero meritato una riflessione profonda. Ci muoviamo in un mondo sempre più ingiusto e immorale, dove la perdita di ogni saggezza e le nuove sopravvenienze cieche e brutali sono sempre dietro l'angolo. Averne cura è il nostro scopo e se per farlo dobbiamo chiedere a uno stato sovrano il rispetto dei diritti civili, che lo si faccia, anche a costo di compromettere forniture energetiche, posti di lavoro e soldi, ma con buonsenso e strategie che abbiano tempi e modi chiari e finalizzati. Questo è il coraggio di una civiltà e di uno stato, non quello di trattenere un cittadino, forse un delinquente, da sempre a piede libero, anche per scelta di quella Corte penale internazionale, oggi additata come estremo baluardo di integrità morale e libertà.
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